Maltratta la compagna e un commissario di polizia vi assiste: disposta la misura cautelare del carcere – Cass. 22248/21

Il giudice per le indagini preliminari aveva disposto la custodia cautelare in carcere nei confronti di un uomo in ordine al reato di maltrattamenti in famiglia.

Un commissario di polizia notava che l’uomo litigava in strada e strattonava una donna; il commissario si qualificava e intimava all’uomo di cessare dalla condotta delittuosa, senza che questi ottemperasse, tant’è che doveva materialmente intervenire per sottrarre la donna all’uomo, il quale, nel frattempo, tentava di allontanarsi, ma veniva fermato da una volante della polizia e tratto in arresto.

A seguito di tale episodio, la donna denunciava di aver instaurato una relazione sentimentale con l’uomo, nell’ambito della quale si verificavano plurimi episodi maltrattamenti, consistiti in reiterate offese, minacce e lesioni personali.

Peraltro, risultava che l’ultimo episodio di maltrattamenti era stato agito mentre l’uomo si trovava agli arresti domiciliari, in relazione a diverso procedimento, relativo ai reati di atti persecutori e estorsione, commessi ai danni di altra donna con la quale aveva in precedenza intrattenuto una relazione sentimentale.

La corte di cassazione, confermando la misura cautelare, osserva in particolare che è configurabile il reato di maltrattamenti in famiglia anche in presenza di un rapporto di convivenza di breve durata, instabile e anomalo, purché sia sorta una prospettiva di stabilità e un’attesa di reciproca solidarietà.

Quanto alle esigenze cautelari, il tribunale del riesame, aveva fornito una esaustiva motivazione in ordine ai plurimi elementi dai quali desumere la spiccata propensione dell’uomo a porre in essere condotte gravemente lesive nei confronti della persona offesa, che non ha neutralizzato gli istinti criminali neppure a seguito dell’intervento del commissario di polizia.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 18 maggio – 7 giugno 2021, n. 22248 – Presidente Bricchetti – Relatore Di Geronimo

Ritenuto in fatto

1. Il Tribunale del riesame di Bari confermava l’ordinanza con la quale il giudice per le indagini preliminari di Foggia aveva disposto la custodia cautelare in carcere nei confronti di L.M., in ordine al reato di maltrattamenti in famiglia commessi ai danni di T.L.. L’ordinanza impugnata ricostruiva la vicenda evidenziando che il L. , in data 10 gennaio 2021, veniva notato da C.A. , commissario di polizia, mentre in strada litigava e strattonava una donna (poi identificata nella T. ); il commissario si qualificava e intimava al L. di cessare dalla condotta delittuosa, senza che questi ottemperasse, tant’è che doveva materialmente intervenire per sottrarre la donna al L. il quale, nel frattempo, tentava di allontanarsi, ma veniva fermato da una volante della polizia e tratto in arresto. A seguito di tale episodio, la T. denunciava di aver instaurato una relazione sentimentale con il L. , nell’ambito della quale si verificavano plurimi episodi maltrattamenti, consistiti in reiterate offese, minacce e lesioni personali.
Il Tribunale del riesame, inoltre, evidenziava che il L. aveva commesso l’ultimo episodio di maltrattamenti, mentre si trovava ristretto agli arresti domiciliari in Foggia, in relazione a diverso procedimento, relativo ai reati di cui agli artt. 612-bis e 629 c.p., commessi ai danni di altra donna con la quale aveva in precedenza intrattenuto una relazione sentimentale.

2. Avverso la suddetta pronuncia, propone ricorso per cassazione il L., articolando tre motivi di seguito sinteticamente esposti nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. c.p.p..

2.1. Con il primo motivo si deduce la violazione di legge in ordine all’errata applicazione dell’art. 572 c.p., sostenendo il ricorrente che difetterebbe l’abitualità della condotta, avendo la persona offesa riferito di singoli episodi, peraltro intervallati da periodi di pacifica convivenza.

Inoltre, l’ultimo fatto avvenuto il 10 gennaio 2021 si sarebbe verificato quando la convivenza era già cessata da tempo, sicché non poteva rientrare nella contestazione di cui all’art. 572 c.p..

2.2. Con il secondo motivo si eccepisce l’incompetenza territoriale del giudice per le indagini preliminari di Foggia, sul presupposto che, dovendosi escludere l’ultimo episodio contestato dal reato di maltrattamenti, la condotta si sarebbe consumata in (OMISSIS), comune rientrante nella competenza territoriale del tribunale di Trani.

2.3. Con il terzo motivo si contesta la sussistenza del pericolo di reiterazione di analoghe condotte delittuose, evidenziandosi come la persona offesa non sia più convivente con il L. e le rispettive abitazioni si trovino in comuni distanti tra di loro. Peraltro, si sottolinea come l’ultimo episodio a seguito del quale il L. è stato tratto in arresto si è verificato solo perché la T. si era volontariamente recata presso l’abitazione del L. , senza che questi avesse in alcun modo tentato di riprendere i contatti con la persona offesa.

Considerato in diritto

1. Preliminarmente occorre dar atto che il difensore del ricorrente aveva chiesto la discussione orale ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, cui rinunciava con dichiarazione inviata a mezzo p. e. c. il 7 maggio 2021.

Nonostante l’intervenuta rinuncia formulata dal difensore del ricorrente, il Sostituto Procuratore generale chiedeva di discutere oralmente; la richiesta veniva accolta, essendosi ritenuto che la sopravvenuta rinuncia alla discussione non determina il mutamento del rito nella forma cartolare, disciplinata dal D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8.

La norma in questione non prevede espressamente la facoltà di rinuncia, sicché potrebbe sostenersi che la discussione orale rappresenti l’eccezione rispetto alla regola generale, secondo cui i procedimenti pendenti in Cassazione, nel periodo emergenziale, vanno trattati con le modalità camerali non partecipate, dal che ne conseguirebbe che la parte – evidentemente non più interessata alla discussione orale – potrebbe rinunciarvi unilateralmente.

A sostegno di tale tesi potrebbe addursi il dato sistematico, secondo cui la discussione orale è una facoltà per la parte e, in quanto tale, quest’ultima ne potrebbe disporre fin quando l’udienza non si sia tenuta.
Si tratta, tuttavia, di una soluzione che non si ritiene conforme alla ratio che ispira il D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23.

La norma in esame individua sostanzialmente un doppio binario di trattazione, fissando un termine perentorio entro il quale la parte interessata può esercitare la sua scelta, ma una volta che il procedimento si è incardinato nelle forme della discussione orale, piuttosto che in quella della trattazione cartolare, non è più consentito alla parte, unilateralmente, di modificare il rito prescelto.
In buona sostanza, lì dove la parte abbia chiesto la discussione orale, la sua scelta deve ritenersi irrevocabile, avendo incanalato il procedimento in un iter differenziato rispetto a quello previsto per la trattazione cartolare, che incide direttamente sulle conseguenti facoltà processuali delle altre parti.

Basti considerare che, a seguito della richiesta di discussione orale, le altre parti processuali maturano un legittimo affidamento nella possibilità di articolare le loro richieste e difese in udienza, non essendo quindi più tenute a rispettare la cadenza procedimentale prevista per la trattazione camerale non partecipata, mediante l’invio delle conclusioni scritte.

La lesione del contraddittorio, peraltro, sarebbe tanto più evidente nel caso in cui la rinuncia venga formulata nell’imminenza dell’udienza, atteso che in tal caso le restanti parti non potrebbero neppure provvedere al deposito delle memorie ex art. 611 c.p.p., essendo oramai scaduto il prescritto termine.
In buona sostanza, ammettere la possibilità della rinuncia alla richiesta di discussione orale consentirebbe l’innesto di un potere dispositivo unilaterale sul corretto svolgimento dell’iter processuale, foriero di lesioni del principio del contraddittorio.

Ove la parte che aveva chiesto la discussione orale dovesse rinunciarvi, tale dichiarazione ben potrà essere intesa come manifestazione della sopravvenuta carenza di interesse a partecipare all’udienza che, tuttavia, dovrà ugualmente svolgersi nelle forme ordinarie.

In conclusione, pertanto, va affermato il principio secondo cui la rinuncia alla discussione orale, formulata ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 4, non determina il mutamento del rito in quello cartolare, sicché la parte non rinunciante ha diritto a concludere oralmente in udienza.
2. Passando all’esame nel merito del ricorso, si rileva l’infondatezza del primo motivo, con il quale si contesta l’insussistenza degli elementi costitutivi del reato di maltrattamenti tra conviventi, in quanto risulterebbero commessi solo isolati episodi di presunte violenze e minacce. Inoltre, le ultime condotte commesse in Foggia – a seguito delle quali veniva disposta la misura cautelare – sarebbero intervenute dopo la cessazione della convivenza e non potrebbero considerarsi come attuative del reato di cui all’art. 572 c.p..

Si tratta di una deduzione che non trova conforto nell’esaustiva motivazione dell’ordinanza impugnata, nella quale si indica come tra il L. e la persona offesa sia intercorso un sia pur breve periodo di convivenza, nel corso del quale si sono verificati plurimi episodi di offese e gravi minacce, nell’ambito di un contesto improntato ad un generale clima vessatorio e di sopraffazione ai danni della T. .

In tale contesto, anche la condotta posta in essere in Foggia, a seguito della quale è stata disposta la misura cautelare, si inserisce nell’ambito del reato di maltrattamenti, non potendosi ritenere – come sostenuto dalla difesa – che la convivenza era cessata da circa venti giorni, a seguito della sottoposizione del L. alla misura degli arresti domiciliari disposta per altra causa.

Il Tribunale del riesame, infatti, dà ampiamente conto di come, pur a seguito della sottoposizione agli arresti domiciliari in Foggia, il L. e la T. avevano mantenuto rapporti telefonici, tant’è che i due concordavano di trascorrere assieme il fine settimana nel corso del quale si verificavano le ulteriori condotte di maltrattamento.

Quanto detto dimostra come tra il L. e la T. non sia intervenuta una reale ed effettiva interruzione del rapporto sentimentale, nè della convivenza, tant’è che la T. ha effettivamente trascorso un fine settimana presso l’abitazione del L. .

Nè rileva la circostanza per cui la convivenza tra il L. e la T. sia stata di breve durata, avendo questa Corte recentemente precisato che è configurabile il reato di maltrattamenti in famiglia anche in presenza di un rapporto di convivenza di breve durata, instabile e anomalo, purché sia sorta una prospettiva di stabilità e un’attesa di reciproca solidarietà (Sez. 6, n. 17888 del 7/05/2021, non mass.).

Applicando tale principio al caso di specie, si ritiene che vada confermata la decisione impugnata, nella quale si dà ampiamente conto di come il rapporto sentimentale esistente tra l’indagato e la persona offesa, per quanto conflittuale, fosse improntato quanto meno ad una prospettiva di stabilità, interrotta essenzialmente per effetto delle reiterate condotte illecite del L. e dell’adozione della misura cautelare.
3. Le osservazioni finora svolte risultano funzionali all’esame del secondo motivo di ricorso, con il quale si deduce l’incompetenza territoriale del g. i. p. del Tribunale di Foggia, sul presupposto che la condotta criminosa si sarebbe consumata nel luogo ove il L. e la T. avevano convissuto ((OMISSIS)), ricadente nella competenza territoriale del Tribunale di Trani.

L’eccezione si fonda sull’assunto secondo cui l’episodio verificatosi in Foggia non rientrerebbe nella condotta maltrattante che, pertanto, si sarebbe integralmente consumata in un diverso comune.
La tesi, per le ragioni sopra esposte, non può essere accolta, in quanto, una volta ritenuto che le condotte realizzate in Foggia rientrano nell’unitario reato di maltrattamenti, ne deriva che quanto meno la parte conclusiva della condotta illecita si è manifestata in Foggia, il che consente di radicare la competenza territoriale.

In tal senso si è recentemente espressa questa Corte (Sez.F, n. 36132 del 13/08/2019, Rv.276785), affermando che in tema di maltrattamenti in famiglia, la competenza per territorio, stante la natura di reato abituale, si radica innanzi al giudice del luogo in cui l’azione diviene complessivamente riconoscibile e qualificabile come maltrattamento e, quindi, nel luogo in cui la condotta venga consumata all’atto di presentazione della denuncia (nel caso di specie sporta presso la Questura di Foggia).
4. L’ultimo motivo di ricorso, con il quale si contesta il vizio motivazionale relativo alla sussistenza delle esigenze cautelari, è manifestamente infondato.

Il Tribunale del riesame, infatti, ha fornito un’esaustiva e condivisibile motivazione in ordine ai plurimi elementi dai quali desumere la spiccata propensione del L. a porre in essere condotte gravemente lesive nei confronti della persona offesa. Si è correttamente sottolineato come, soprattutto in occasione dell’ultimo episodio, il L. non ha desistito dall’azione illecita nonostante l’intervento di un appartenente alle forze dell’ordine e pur essendo già sottoposto agli arresti domiciliari, disposta in altro procedimento nel quale il L. era indagato per reati commessi ai danni della precedente convivente.
Il quadro complessivo che è stato valorizzato dal Tribunale, pertanto, è ampiamente idoneo a sorreggere la misura cautelare adottata.

4. Al rigetto del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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