Una giovane ragazza aveva lasciato il telefono cellulare – intestato al padre – sul bancone di un bar e poco dopo era tornata per recuperarlo; tuttavia il telefono non c’era più perché un uomo se ne era appropriato.

Per questo fatto è stato condannato per il delitto di furto.

La corte di cassazione ha precisato che deve considerarsi smarrita la cosa che è materialmente e definitivamente uscita dalla detenzione del possessore mentre quando la cosa sia stata solo momentaneamente dimenticata, ma si conservi memoria del luogo in cui ritrovarla, la condotta di chi se ne appropria costituisce furto.

La corte ha altresì precisato che integra il reato di appropriazione di cose smarrite e non quello di furto l’impossessamento di un telefono cellulare altrui oggetto di smarrimento, in quanto il codice IMEI stampato nel vano batteria dell’apparecchio identifica la cosa, ma non la proprietà del bene; tuttavia tale principio può trovare applicazione solo qualora il telefono sia stato smarrito, e quindi il suo possessore non sappia il luogo ove egli lo ha lasciato, e non quando esso sia stato solo dimenticato.

Solo per le cose smarrite vale il principio secondo il quale, laddove esse conservino chiari ed intatti i segni esteriori di un legittimo possesso altrui, il venir meno della relazione materiale fra la cosa ed il suo titolare non implica la cessazione del potere di fatto di quest’ultimo sul bene smarrito, con la conseguenza che colui che se ne appropria senza provvedere alla sua restituzione commette il reato di furto e non quello di appropriazione di cose smarrite.

Nel caso di specie sussisteva anche l’elemento psicologico del dolo, atteso che l’imputato aveva visto la ragazza allontanarsi dimenticando il telefono cellulare presso il bar ed egli si era impossessato dello stesso dopo solo cinque o dieci minuti che la stessa si era allontanata, ossia un periodo di tempo troppo breve per escludere che il telefono fosse stato solo dimenticato e non definitivamente perso.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 11 gennaio – 18 febbraio 2021, n. 6353 – Presidente Bruno – Relatore Romano

Ritenuto in fatto

1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale di Rieti del 22 ottobre 2015, che, all’esito del giudizio abbreviato, ha affermato la penale responsabilità di Ca. Ma. per il delitto di furto di un telefono cellulare lasciato da una ragazza sul bancone di un bar, così qualificando il fatto originariamente contestato quale delitto di ricettazione.

2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso Ca. Ma., a mezzo del suo difensore, chiedendone l’annullamento ed affidandosi ad un unico motivo con il quale lamenta violazione degli artt. 624 e 647 cod. pen..

In particolare, egli sostiene che il fatto integrerebbe violazione dell’art. 647 cod. pen. e sarebbe di conseguenza penalmente irrilevante.

La Corte di appello ha qualificato il fatto come furto affermando che il possessore del telefono sarebbe stato in grado di recuperarlo laddove esso non fosse stato sottratto dall’imputato, considerato anche l’uso intensivo di tale apparecchio da parte degli adolescenti, e che dalla querela emergeva appunto che la figlia del proprietario del telefono era dopo pochi minuti tornata nel bar per cercare l’apparecchio.
In contrario, il ricorrente evidenzia che la circostanza indicata nella querela poteva trovare giustificazione in altre esigenze della persona offesa, come quella di evitare un rimprovero da parte dei suoi genitori, e che nel caso di specie il telefono non presentava quei segni evidenti del legittimo possesso altrui che sono necessari per qualificare il fatto come delitto di furto piuttosto che come appropriazione di cose smarrite.

L’individuazione del proprietario era possibile solo attraverso l’abbinamento del codice IMEI alla sim, che non può essere effettuato da chi rinviene un telefono cellulare.

Difettavano, quindi, l’elemento materiale e quello soggettivo del reato per il quale era stata pronunciata condanna.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.

In tema di distinzione tra furto e appropriazione indebita di cose smarrite, questa Corte ha affermato che deve considerarsi smarrita la cosa che è materialmente e definitivamente uscita dalla detenzione del possessore; quando la cosa sia stata solo momentaneamente dimenticata, ma si conservi memoria del luogo in cui ritrovarla, la condotta di chi se ne appropria costituisce furto (Sez. 4, n. 11148 del 06/06/2000, Frenicchi, Rv. 217658).

Nel caso di specie, dalle motivazioni delle due sentenze di merito, che si saldano tra loro per formare un unico complessivo corpo argomentativo (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595), risulta che la ragazza ricordava il luogo ove aveva lasciato il telefono, tanto che dopo circa un quarto d’ora dal suo allontanamento dal bar aveva ivi fatto ritorno chiedendo al gestore dell’esercizio commerciale informazioni sull’apparecchio; tale ricordo le avrebbe consentito di riacquistarne la materiale disponibilità, ove l’apparecchio non le fosse stato sottratto dall’imputato.

E’ ben vero che questa Corte di cassazione ha affermato anche che integra il reato di appropriazione di cose smarrite e non quello di furto l’impossessamento di un telefono cellulare altrui oggetto di smarrimento, in quanto il codice IMEI stampato nel vano batteria dell’apparecchio identifica la cosa, ma non la proprietà del bene (Sez. 2, n. 2148 del 11/10/2016, dep. 2017, Valanzano, Rv. 268985), ma tale principio può trovare applicazione solo qualora il telefono sia stato smarrito, e quindi il suo possessore non sappia il luogo ove egli lo ha lasciato, e non quando esso sia stato solo dimenticato.

Solo per le cose smarrite vale il principio secondo il quale, laddove esse conservino chiari ed intatti i segni esteriori di un legittimo possesso altrui, il venir meno della relazione materiale fra la cosa ed il suo titolare non implica la cessazione del potere di fatto di quest’ultimo sul bene smarrito, con la conseguenza che colui che se ne appropria senza provvedere alla sua restituzione commette il reato di furto e non quello di appropriazione di cose smarrite (Sez. 2, n. 46991 del 08/11/2013, Zaiti, Rv. 257432).
Quanto al dolo, come correttamente osservato nella sentenza di primo grado, il Ma. ha visto la ragazza allontanarsi dimenticando il telefono cellulare presso il bar ed egli si è impossessato dello stesso dopo solo cinque o dieci minuti che la stessa si era allontanata, ossia un periodo di tempo troppo breve per escludere che il telefono fosse stato solo dimenticato e non definitivamente perso.

2. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., la condanna al pagamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si reputa equo fissare in Euro 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle processuali e della somma di Euro tremila a favore della Cassa delle ammende.

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