Mentre un corriere era impegnato a consegnare della merce, l’imputata sottraeva due pacchi conservanti all’interno di un furgone in sosta.

Il fatto, integrante il reato di furto, è aggravato dall’esposizione della merce a pubblica fede.

La difesa dell’imputato sottolineava che il corriere era tenuto alla custodia dei beni e aveva il dovere di chiudere il portellone del mezzo dove venivano custoditi gli oggetti ma la Corte di cassazione rigetta l’obiezione.

Secondo la giurisprudenza, “in tema di reati contro il patrimonio, il furto di oggetti che si trovino all’interno di un’autovettura parcheggiata sulla pubblica via deve considerarsi aggravato” quando si tratti di oggetti costituenti parte integrante del veicolo, mentre quando il furto concerna “oggetti solo temporaneamente o occasionalmente lasciati nell’auto”, ai fini della sussistenza dell’aggravante, deve ricorrere una situazione contingente di necessità, “tale da indurre il possessore a confidare nella buona fede dei consociati e nel rispetto delle cose altrui che dagli stessi è lecito pretendere, necessità da intendersi in senso relativo e non assoluto che comprende ogni apprezzabile esigenza di condotta imposta da particolari situazioni, in contrapposizione agli opposti concetti di comodità e di trascuratezza nella vigilanza”.

Pertanto, il giudice deve dare conto delle speciali ragioni che, in base alle circostanze concrete, hanno reso necessitata la custodia della cosa all’interno dell’autoveicolo.

Quanto alle ipotesi di merci riposte all’interno di veicoli od oggetto di operazioni di scarico, si è affermato che per ritenere configurata l’aggravante “devono intendersi esposte per necessità e consuetudine alla pubblica fede anche le cose ingombranti o pesanti che la vittima abbia temporaneamente lasciate in un’autovettura parcheggiata sulla pubblica strada, per attendere ad altre incombenze”, e che “il requisito della esposizione per necessità richiede che sia puntualmente accertata in concreto la sussistenza di una situazione determinata da impellenti e non differibili esigenze che abbiano impedito alla persona offesa di portare con sé o custodire più adeguatamente la res furtiva”.

Può conclusivamente affermarsi che “un corriere impegnato nelle attività di consegna di una parte della merce trasportata, una volta parcheggiato il mezzo e prelevato quel che deve essere recapitato ad uno specifico destinatario, si trova nel disbrigo di ordinarie incombenze di lavoro, per effettuare le quali egli versa nella necessità di lasciare esposti alla pubblica fede sia il furgone che i residui beni ancora ivi custoditi: una situazione, questa, altresì corrispondente a normale consuetudine e così percepita dalla generalità dei consociati, senza che possa di certo richiedersi all’autotrasportatore di chiudere a chiave ogni volta il portellone del mezzo”.

Avv. Annalisa Gasparre – foro di Pavia

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 4 novembre 2020 – 26 febbraio 2021, n. 7579 – Presidente Zaza – Relatore Micheli

Ritenuto in fatto

Il difensore di P.A. ricorre per cassazione avverso la pronuncia indicata in epigrafe, recante la parziale riforma – per essere stato derubricato in tentato furto aggravato un addebito di tentata rapina per cui vi era stata condanna in primo grado – della sentenza emessa il 28/05/2015, nei confronti del suo assistito, dal Tribunale di Pesaro. La vicenda riguarda la sottrazione di due pacchi conservati dentro un furgone in sosta, per essere il conducente impegnato ad effettuare altre consegne: sottrazione a cui non fece seguito il definitivo impossessamento dei beni, in quanto la persona offesa riuscì a raggiungere l’autore materiale della condotta (un soggetto rimasto ignoto, nel frattempo salito nell’auto condotta dal P., rimasto in sua attesa poco distante) ed a recuperare il maltolto.

La difesa, che in sede di motivi di appello aveva in primis contestato la ritenuta responsabilità dell’odierno ricorrente, invocandone l’estraneità all’autonoma condotta posta in essere dalla persona rimasta non identificata, lamenta oggi violazione di legge per essere stata erroneamente ravvisata dalla Corte marchigiana – all’esito della ricordata derubricazione – l’aggravante di cui all’art. 625 c.p., n. 7.

I beni presenti all’interno del furgone condotto dalla vittima del reato, infatti, non si trovavano esposti per consuetudine o necessità alla pubblica fede (come avrebbe potuto dirsi solo con riguardo al veicolo ove la merce era trasportata): la realtà, invece, è che “il corriere, addetto alla custodia dei beni ricoverati all’interno del mezzo, aveva il dovere di chiudere il portellone ove venivano custoditi gli oggetti ogni qual volta si allontanava per qualsivoglia esigenza”.

Considerato in diritto

1. Il ricorso deve reputarsi inammissibile.

Nella elaborazione giurisprudenziale compiuta da questa Corte, si è infatti affermato che “in tema di reati contro il patrimonio, il furto di oggetti che si trovino all’interno di un’autovettura parcheggiata sulla pubblica via deve considerarsi aggravato, ex art. 625 c.p., comma 1, n. 7, allorché si tratti di oggetti costituenti parte integrante del veicolo; quando, invece, il furto concerna oggetti solo temporaneamente o occasionalmente lasciati nell’auto, ai fini della sussistenza dell’aggravante in questione, deve ricorrere una situazione contingente di necessità, tale da indurre il possessore a confidare nella buona fede dei consociati e nel rispetto delle cose altrui che dagli stessi è lecito pretendere, necessità da intendersi in senso relativo e non assoluto che comprende ogni apprezzabile esigenza di condotta imposta da particolari situazioni, in contrapposizione agli opposti concetti di comodità e di trascuratezza nella vigilanza. Ne consegue che il giudice deve, in tal caso, dare conto delle speciali ragioni che, in base alle circostanze concrete, hanno reso necessitata la custodia della cosa all’interno dell’autoveicolo” (Cass., Sez. V, n. 15386 del 06/03/2014, Cesaria, Rv 260216).

All’elemento della negligenza nella custodia, quale fattore incidente sulla possibilità di ritenere configurabile l’aggravante de qua, fanno riferimento anche alcune pronunce relative al diverso caso in cui ad essere sottratta è lo stesso mezzo di trasporto, essendosi sostenuto che “il furto di un’autovettura lasciata in sosta sulla pubblica via, con le portiere aperte e la chiave inserita nel quadro di accensione, deve considerarsi aggravato per la esposizione alla pubblica fede, ai sensi dell’art. 625 c.p., comma 1, n. 7, solo quando si accerti che il conducente si è determinato a lasciare il mezzo nelle condizioni predette a causa di una contingente necessità e non per mera comodità o trascuratezza” (Cass., Sez. IV, n. 12196 dell’11/01/2017, Cuomo, Rv 269393).

Quanto, più specificamente, alle ipotesi di merci riposte all’interno di veicoli od oggetto di operazioni di scarico, più recenti pronunce si allineano ad un medesimo, rigoroso indirizzo, precisando che “ai fini dell’aggravante di cui all’art. 625 c.p., n. 7, devono intendersi esposte “per necessità e consuetudine” alla pubblica fede anche le cose ingombranti o pesanti che la vittima abbia temporaneamente lasciate in un’autovettura parcheggiata sulla pubblica strada, per attendere ad altre incombenze” (Cass., Sez. V, n. 38900 del 14/06/2019, Lucchiari, Rv 277119), e che “il requisito della esposizione per necessità richiede che sia puntualmente accertata in concreto la sussistenza di una situazione determinata da impellenti e non differibili esigenze che abbiano impedito alla persona offesa di portare con sé o custodire più adeguatamente la res furtiva” (Cass., Sez. V, n. 15395 del 28/01/2020, Meci, Rv 279087: caso, quest’ultimo, in cui ad essere stati sottratti erano dei colli lasciati in momentaneo stazionamento su un’area commerciale).

Tanto ribadito, e qui espressamente condiviso, risulta evidente che – in linea di principio – un corriere impegnato nelle attività di consegna di una parte della merce trasportata, una volta parcheggiato il mezzo e prelevato quel che deve essere recapitato ad uno specifico destinatario, si trova nel disbrigo di ordinarie incombenze di lavoro, per effettuare le quali egli versa nella necessità di lasciare esposti alla pubblica fede sia il furgone che i residui beni ancora ivi custoditi: una situazione, questa, altresì corrispondente a normale consuetudine e così percepita dalla generalità dei consociati, senza che possa di certo richiedersi all’autotrasportatore di chiudere a chiave ogni volta il portellone del mezzo.

Il difensore del P., su basi puramente assertive, rappresenta che nel caso oggi in esame il veicolo sarebbe stato lasciato aperto, imputando così alla vittima una negligenza ostativa al riconoscimento dell’aggravante: ma non è dato sapere da dove tragga tale conclusione.

Mentre, infatti, la lettura della sentenza di primo grado può lasciare margini di incertezza, visto che vi si chiarisce che l’autotrasportatore subì il tentato furto “mentre stava effettuando una consegna di merce in (……) “, la Corte territoriale evidenzia che la condotta materiale venne realizzata aprendo il portellone del mezzo in uso alla persona offesa (che, dunque, deve ritenersi fosse stato lasciato chiuso, sia pure non a chiave). Il motivo di doglianza, pertanto, oltre a sollecitare implicitamente approfondimenti in fatto preclusi in sede di legittimità, si rivela aspecifico, non confrontandosi con i dati evidenziati dai giudici di merito nella decisione impugnata.

2. Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – a versare in favore della Cassa delle Ammende la somma di Euro 2.000,00, così equitativamente stabilita in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

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