Può forse fare sorridere che la giustizia si occupi del diritto di avvalersi di un parrucchiere che usi forbice e pettine e non solo apparecchi elettrici; si smette di sorridere, però, quando si precisa che l’individuo in questione è ristretto nella sua libertà personale perché detenuto in carcere, per giunta in regime di 41 bis.

Avverso il reclamo del detenuto, il Tribunale di sorveglianza accoglieva l’istanza disponendo che il servizio garantisse l’esecuzione del taglio come richiesto. Ha proposto ricorso per cassazione l’amministrazione penitenziaria e la Suprema Corte ha ritenuto corretta la decisione dell’amministrazione, rigettando il reclamo.

La Corte di cassazione precisa infatti che il rimedio del reclamo davanti alla magistratura di sorveglianza presuppone che ci sia un’incisione di una posizione giuridica soggettiva qualificabile come diritto e violativa di disposizioni dalle quali derivi al detenuto un attuale e grave pregiudizio.

Non bisogna però confondere il diritto soggettivo del detenuto con le modalità di esercizio dello stesso, che richiedono puntuale regolamentazione, atteso lo stato di detenzione e la compressione della libertà personale.

Nel caso di specie va osservato che la normativa di ordinamento penitenziario garantisce al recluso il diritto all’igiene personale, quale parte integrante del diritto alla dignità umana e disciplina il servizio di barberia, comprendente il taglio dei capelli. La vigente circolare applicativa, riguardante l’organizzazione delle sezioni destinate ad ospitare i detenuti assoggettati al regime detentivo di cui all’art. 41 bis assicura la gratuità del servizio, affidato ad apposito detenuto lavorante, precisandone tempi e modi e dettando apposite prescrizioni inerenti la verifica, preventiva e successiva, degli strumenti in uso. Tra le prerogative legittime delle singole Direzioni di istituto rientra la delimitazione degli strumenti e la loro limitazione, con esclusione di strumenti manuali da taglio.

Del resto, l’inibizione all’uso di tali strumenti risponde a finalità di sicurezza e il divieto non frustra il diritto del detenuto al decoro e all’igiene personale, venendo ad incidere solo sulle concrete modalità di esercizio del diritto stesso.

Il provvedimento del tribunale di sorveglianza che ha accolto il reclamo del detenuto, si è indebitamente ingerito in tale ambito, riservato alla discrezionale valutazione dell’Amministrazione penitenziaria; per questi motivi, è stato annullato senza rinvio.

Avv. Annalisa Gasparre – foro di Pavia

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 31 marzo – 31 maggio 2021, n. 21349 – Presidente Tardio – Relatore Centofanti

Ritenuto in fatto

1. Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di sorveglianza di …… accogliendo il reclamo proposto, ai sensi dell’art. 35-bis, comma 4, Ord. pen., da P.C., ristretto in regime penitenziario differenziato presso la casa di reclusione di ……. – disponeva che il servizio barberia dell’istituto garantisse l’esecuzione del taglio dei capelli del detenuto non solo mediante dispositivo elettrico ma con impiego di forbice e pettine.

Secondo il Tribunale, la normativa regolamentare di carattere generale (rappresentata dalla Circolare DAP 2 ottobre 2017, art. 10.1) non vietava l’uso degli strumenti in discorso, peraltro autorizzato nella omologa sezione di altro istituto penitenziario del distretto giudiziario.

2. Ricorre per cassazione l’Amministrazione penitenziaria, con il ministero dell’Avvocatura dello Stato, articolando due motivi.

Con il primo motivo, la ricorrente denuncia la carenza assoluta di giurisdizione in materia riservata dalla legge alla potestà discrezionale dell’Autorità amministrativa, non irragionevolmente esercitata in rapporto ad evidenti esigenze di sicurezza interna dell’istituto di pena.

Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 69, comma 6, lett. b), Ord. pen., giacché il Tribunale di sorveglianza avrebbe adottato il provvedimento impugnato in difetto delle condizioni previste dalla citata disposizione, non essendosi a cospetto di alcuna inosservanza di norme di legge o di regolamento, nè di alcun conseguente pregiudizio, grave e attuale, all’esercizio di un diritto facente capo al detenuto.

Considerato in diritto

1. Il ricorso, nei suoi connessi motivi, è fondato e deve essere accolto.

2. Il rimedio giurisdizionale previsto dagli artt. 35-bis e 69, comma 6, lett. b), Ord. pen. ammette la tutela davanti alla magistratura di sorveglianza delle posizioni giuridiche soggettive qualificabili in termini di “diritto”, incise da condotte dell’Amministrazione violative di disposizioni previste dalla legge penitenziaria, e dal relativo regolamento, dalle quali “derivi al detenuto o all’internato un attuale e grave pregiudizio”.

Presupposti essenziali dell’intervento giurisdizionale sono dunque costituiti dall’esistenza, in capo al detenuto, di una posizione giuridica attiva, non riducibile (o non riducibile ulteriormente) per effetto della carcerazione e direttamente meritevole di protezione, nonché dal rilievo di una condotta, imputabile all’Amministrazione penitenziaria, che si ponga con tale posizione soggettiva in illegittimo contrasto.

È peraltro evidente che dalla condizione detentiva possano derivare limitazioni, anche significative, alla ordinaria sfera dei diritti soggettivi della persona, e ciò anche quale conseguenza dell’adozione di misure e provvedimenti organizzativi dell’Amministrazione stessa, volti a disciplinare la vita degli istituti, a garantire l’ordine e la sicurezza interna e l’irrinunciabile principio del trattamento rieducativo; misure e provvedimenti che, ove adottati nel rispetto dei fondamentali canoni di ragionevolezza e proporzionalità, incidono legittimamente sulla posizione soggettiva del ristretto, andando ad integrarne l’ambito di autorizzata e lecita compressione (Sez. 1, n. 4030 del 04/12/2020, dep. 2021, Ministero della Giustizia, Rv. 280532-01).

È a partire da tale constatazione che la giurisprudenza di questa Corte, da tempo, ammonisce a non confondere il diritto soggettivo del detenuto, nel suo nucleo intangibile, cui è garantita protezione, con le mere modalità di esercizio di esso, inevitabilmente assoggettate a regolamentazione (Sez. 1, n. 23533 del 07/07/2020, Mandala, Rv. 279456-01; Sez. 7, n. 7805 del 16/07/2013, dep. 2014, Attanasio, Rv. 260117-01; Sez. 1, n. 767 del 15/11/2013, dep. 2014, Attanasio, Rv. 258398-01).

La sola negazione del diritto in quanto tale integra lesione suscettibile di reclamo giurisdizionale, mentre le modalità di esplicazione del diritto restano affidate alle scelte discrezionali dell’Amministrazione penitenziaria, in funzione delle esigenze di ordine e disciplina interne, che, ove non manifestamente irragionevoli, ovvero sostanzialmente inibenti la fruizione del diritto, non sono sindacabili in sede giudiziaria (Sez. 7, n. 373 del 29/05/2014, dep. 2015, Attanasio, Rv. 261549-01).

3. È agevole constatare, con riferimento al caso di specie, che la normativa di ordinamento penitenziario (la L. n. 354 del 1975, art. 8 attuato dall’art. 8 del regolamento approvato con D.P.R. n. 230 del 2000) garantisce al recluso il diritto all’igiene personale, quale parte integrante del diritto costituzionale alla dignità umana, che deve essere sempre rispettata in costanza di detenzione, e in tale ambito app. e disciplina il servizio di barberia, comprendente il taglio dei capelli. La vigente circolare applicativa, riguardante l’organizzazione delle sezioni destinate ad ospitare i detenuti assoggettati al regime detentivo di cui all’art. 41-bis Ord. pen., assicura la gratuità del servizio, affidato ad apposito detenuto lavorante, e ne precisa, nel dettaglio, i tempi e i modi, dettando apposite prescrizioni inerenti la verifica, preventiva e successiva, degli strumenti in uso.

La delimitazione ulteriore di questi ultimi, e l’eventuale loro limitazione, con esclusione di strumenti manuali da taglio, rientra nelle legittime prerogative delle singole Direzioni d’istituto, nell’esplicazione della discrezionalità amministrativa che ad esse compete nell’esercizio delle potestà di organizzazione degli istituti stessi, e di regolamentazione delle attività ivi svolte, non esistendo al riguardo l’esigenza di assoluta uniformità di scelte e modelli.

L’inibizione all’uso di tali strumenti risponde a finalità di sicurezza di intuitiva comprensione, in tal modo non arbitrariamente perseguite (ancorché siano immaginabili, e siano realizzati in qualche altro istituto, alternativi protocolli, che possano assicurare equivalenti cautele), nè il divieto frustra, sotto l’aspetto considerato, il diritto del detenuto al decoro e all’igiene personale, comunque assicurato, venendo ad incidere solo sulle concrete modalità di esercizio del diritto stesso.

4. Poiché il provvedimento impugnato si è indebitamente ingerito in tale ambito, riservato alla discrezionale valutazione dell’Amministrazione penitenziaria, esso deve essere annullato senza rinvio, conseguendo a tale pronuncia la definitiva reiezione del reclamo giurisdizionale proposto al riguardo dal detenuto interessato.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata.

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