È stata applicata la misura cautelare della custodia in carcere all’uomo gravemente indiziato dei delitti di atti persecutori e di incendio, per avere appiccato il fuoco all’ascensore dello stabile dove viveva la persona offesa.

Per i giudici sussiste il dolo di incendio, inteso come coscienza e volontà di cagionare un fuoco di rilevanti dimensioni, desunto dalle modalità del gesto criminoso, dall’ubicazione del punto di innesco, dalla conformazione dei luoghi inseriti in un contesto condominiale, dalla esternata e ripetuta minaccia “di dare fuoco al palazzo”. Nel caso di specie, l’indagato ha appiccato il fuoco all’ascensore di un palazzo condominiale, così da creare un effettivo e concreto pericolo per un numero indeterminato di persone; le proporzioni rilevanti assunte dal fuoco appiccato sono state altrettanto correttamente desunte dalla notevole quantità di fumo sprigionatosi dalle fiamme e che aveva invaso l’intero edificio già prima delle tempestive operazioni di spegnimento.

Per quanto riguarda il reato di stalking, reiterati erano stati i comportamenti tenuti dall’indagato dopo la fine della relazione sentimentale con la donna; le condotte erano consistite in continue telefonate ingiuriose e minacciose, così cagionando nella vittima uno stato di ansia e di paura per la propria incolumità e per quella dei familiari, timore tanto più reale per il livello di incrementata gravità delle condotte tenute dall’uomo e culminate nell’episodio dell’appiccamento del fuoco alla cabina dell’ascensore a breve distanza dalla minaccia di dare alle fiamme il palazzo in cui abitava la persona offesa.

Avv. Annalisa Gasparre – foro di Pavia – Specialista in Diritto Penale

Per appuntamenti: segreteriastudiolegalegasparre@gmail.com

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Cass. pen., sez. I, ud. 23 giugno 2021 (dep. 11 febbraio 2022), n. 4985 – Presidente Tardio – Relatore Saraceno

Ritenuto in fatto

1. Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Torino, investito ex art. 309 c.p.p., della richiesta di riesame proposta dall’indagato D.M.M., confermava l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari in sede che, in data 13 febbraio 2021, aveva applicato al D.M. la misura della custodia cautelare in carcere perché gravemente indiziato del delitto di atti persecutori (capo b) in danno di K.C. , alla quale era stato legato da una relazione affettiva, e del delitto di incendio (capo a) per avere appiccato il fuoco all’ascensore dello stabile ove viveva la persona offesa (fatti commessi sino al 10 febbraio 2021).

2. Ha proposto ricorso l’indagato a mezzo del difensore, avvocato B.F., che chiede l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

2.1. Con il primo motivo deduce l’erronea applicazione della legge penale in relazione alla qualificazione giuridica del fatto sub a) per la mancata derubricazione nella meno grave fattispecie di cui all’art. 424 c.p., stante l’esiguità della combustione provocata dal ricorrente che aveva interessato solo l’interno della cabina dell’ascensore senza alcun cenno di propagazione delle fiamme, agevolmente contenute e domate con il solo utilizzo degli estintori detenuti dagli agenti operanti, intervenuti sul posto.

2.2. Con il secondo motivo denunzia vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per il reato di atti persecutori: tutte le condotte dedotte in contestazione, ad eccezione del solo episodio del fuoco appiccato all’ascensore, sono state riferite esclusivamente dalla presunta parte lesa che non ha allegato alcun elemento di riscontro; di contro, la difesa del ricorrente ha prodotto elementi (numerose e-mail inviate dalla C. al D.M.) utili alla ricostruzione di un contesto totalmente differente da quello rappresentato dalla persona offesa, della cui attendibilità ha dubitato lo stesso Tribunale, sottolineando la necessità di ulteriori approfondimenti sulle dinamiche di coppia e, tuttavia, ritenendo le dichiarazioni della donna idonee a costituire base indiziaria grave a sufficienza.

3. Disposta la trattazione scritta del procedimento ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23 il Sostituto Procuratore generale presso la Corte di cassazione, Dott. S. P., ha rassegnato le proprie conclusioni con requisitoria scritta, chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso.

Considerato in diritto

1. Osserva il Collegio che il ricorso appare per ogni aspetto inammissibile.

2. Il primo motivo, che contesta la qualificazione dell’episodio criminoso del 10 febbraio 2021 in termini di incendio, è all’evidenza destituito di fondamento.

2.1. Sul punto il Tribunale non ha affatto risolto sbrigativamente il tema giuridico sollevato dal ricorrente, ma ha motivatamente ritenuto di dover disattendere le deduzioni difensive, valorizzando: l’entità obiettiva del fatto (l’accensione di materiale in grado di ardere, previamente ammassato nella cabina dell’ascensore); l’ora notturna in cui era stato perpetrato; l’elevata pericolosità della condotta tenuta all’interno di un edificio di nove piani, abitato da un numero importante di persone; il dato oggettivo, incontestato, costituito dalla notevole diffusione di fumo che gli operanti hanno accertato essere giunto dall’ascensore a tutto il condominio e in specie all’abitazione della C. , sì da rendere necessario l’intervento del 118 per le cure del caso da prestare alla parte lesa e al di lei figlio; l’intervento dei vigili del fuoco che avevano interdetto l’uso dell’ascensore.

2.2. Ebbene, a fronte di tale motivazione, fondata sul corretto rilievo di circostanze di fatto e di dati oggettivi incontroversi, il ricorso si limita a formulare obiezioni generiche sulla necessità di rapportare la vicenda a fattispecie astratta di minore gravità, senza però riuscire a dare conto dei vizi denunziati e senza riuscire a contestare il ravvisato serio pericolo per la pubblica incolumità, non tradottosi in eventi ancor più seri soltanto per il tempestivo intervento del personale operante.

Deve, dunque, confermarsi la correttezza della qualificazione giuridica del fatto come operata dai giudici di merito, che hanno anche dato conto della sussistenza del dolo di incendio, inteso come coscienza e volontà di cagionare un fuoco di rilevanti dimensioni, desunto dalle modalità del gesto criminoso, dall’ubicazione del punto di innesco, dalla conformazione dei luoghi inseriti in un contesto condominiale, dalla esternata e ripetuta minaccia “di dare fuoco al palazzo”; e tanto in piena conformità al principio di diritto per cui l’elemento differenziale tra i delitti di incendio e di danneggiamento seguito da incendio è individuato nell’elemento psicologico: nella prima fattispecie esso è rappresentato dal dolo generico, ovvero dalla volontà di cagionare l’evento con fiamme che, per le loro caratteristiche e la loro violenza, tendono a propagarsi in modo da creare un effettivo pericolo per la pubblica incolumità, mentre per poter configurare la seconda ipotesi di reato occorre il dolo specifico di danneggiare la cosa altrui, senza la previsione che ne deriverà un incendio con le caratteristiche prima indicate o il pericolo di siffatto evento.

E, nel caso in esame, correttamente i giudici di merito hanno ritenuto la sussistenza della consapevolezza in capo all’indagato della portata pregiudizievole del gesto criminoso compiuto appiccando il fuoco all’ascensore di un palazzo condominiale, così da creare un effettivo e concreto pericolo per un numero indeterminato di persone; mentre, quanto alle caratteristiche oggettive del fenomeno combustivo, le proporzioni rilevanti assunte dal fuoco appiccato sono state altrettanto correttamente desunte dalla notevole quantità di fumo sprigionatosi dalle fiamme e che aveva invaso l’intero edificio già prima delle tempestive operazioni di spegnimento.

3. Il secondo motivo di ricorso, che investe la conferma del giudizio di gravità indiziaria espresso in relazione al delitto di atti persecutori, è inammissibile per difetto di specificità e, comunque, per manifesta infondatezza.

3.1. Il provvedimento in verifica ha esposto un corredo di argomentazioni esplicative efficace ed analitico che, richiamando il narrato della persona offesa K.C., ha evidenziato una reiterazione di comportamenti tenuti dal D.M. dopo la fine della relazione sentimentale con la donna, già resa difficoltosa dall’uso di sostanze stupefacenti da parte dell’indagato. In particolare, secondo la rievocazione della C., le condotte erano consistite in continue telefonate ingiuriose e minacciose e gli episodi più eclatanti si erano verificati, da ultimo, nelle giornate dell’8, 9 e 10 febbraio, nel corso delle quali l’uomo l’aveva ripetutamente minacciata con frasi del tipo “ti faccio fuori”, “ti do fuoco a te e alla famiglia”, “Sto venendo a casa tua…scendi…se no do fuoco al palazzo”. Sulla scorta dei dati prospettati dalla parte lesa, riscontrati dall’appiccamento del fuoco all’ascensore del palazzo della vittima, dalla telefonata ricevuta dalla C. in presenza degli operanti e alla quale aveva risposto uno degli agenti presenti, nonché dalla stesse parziali ammissioni dell’indagato, il quale aveva affermato di avere agito per gelosia nei confronti della donna, il Tribunale ha respinto l’assunto difensivo circa l’assenza del requisito oggettivo della reiterazione dei comportamenti molesti e lesivi, per esserne stata allo stato dimostrata la ripetuta commissione con accresciuta carica aggressiva, che aveva cagionato nella vittima uno stato di ansia e di paura per la propria incolumità e per quella dei familiari; timore tanto più reale per il livello di incrementata gravità delle condotte tenute dal D.M. , culminate nell’episodio dell’appiccamento del fuoco alla cabina dell’ascensore a breve distanza dalla minaccia di dare alle fiamme il palazzo in cui abitava la persona offesa, che aveva plasticamente tradotto in atto un proposito già espresso e reso ancora più efficace il contenuto intimidatorio delle sue locuzioni.

E ha ribadito la legittimità del presidio cautelare adottato pur in presenza di eventuali comportamenti molesti reciproci, la cui sussistenza non esclude la configurabilità del delitto di atti persecutori, richiedendo soltanto un più accurato onere di motivazione in ordine alla sussistenza dell’evento di danno, ossia dello stato d’ansia o di paura della presunta persona offesa, del suo effettivo timore per l’incolumità propria o di persone ad essa vicine o della necessità del mutamento delle abitudini di vita (Sez. 3, n. 45648 del 23/05/2013, U., Rv. 257288; Sez. 5, n. 42643 del 24/06/2021, A., Rv. 282170).

3.2. All’evidenza infondata è anche la denunzia di manifesta illogicità della motivazione per avere il Tribunale ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza sulla base delle sole dichiarazioni della persona offesa pur ritenute inattendibili. Trattasi di contestazione priva di fondamento e affetta da aspecificità, in quanto non opera un confronto reale e puntuale con lo sviluppo argomentativo del provvedimento, che ha individuato un significativo riscontro alla sussistenza delle condotte riferite dalla persona offesa proprio nell’incendio dell’ascensore dello stabile in cui essa viveva e non ha affatto sbrigativamente liquidato le deduzioni e la documentazione prodotta dalla difesa (costituita dal testo dei messaggi telefonici, apparentemente inviati dalla C. all’indagato, nei quali la donna avrebbe manifestato una forte gelosia nei confronti dell’ex compagno, tradendo atteggiamenti ossessivi e persecutori), ma ha semplicemente ravvisato la necessità di ulteriori accertamenti, in primo luogo sulla effettiva provenienza dalla parte lesa dei ridetti messaggi e, quindi, sulla sussistenza dell’evento di danno.

3.3. Pertanto, nel ragionamento valutativo esposto nell’ordinanza impugnata non è dato rinvenire alcun profilo di manifesta illogicità, nè di irrazionalità e le svolte obiezioni nulla tolgono sul piano fattuale, come su quello logico, alla natura persecutoria e fastidiosa delle iniziative contestate.

A fronte, il ricorso ripropone tesi, di mero fatto, alle quali il Tribunale ha già dato risposte coerenti, neppure completamente considerate, risolvendosi nella prospettazione di questioni di merito, riferibili alla valutazione delle prove, appannaggio dei giudici di merito e, come detto, completa e logica e perciò non censurabile in sede di legittimità.

Come pure manifestamente infondate sono le osservazioni con cui si sostiene che il Tribunale avrebbe pretermesso le prospettazioni difensive e sarebbe incorso in patenti illogicità per aver ritenuto sussistente la gravità indiziaria, pur avendo espresso una valutazione di inattendibilità con riguardo alla narrazione della persona offesa.

4. Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile con la conseguente condanna del proponente al pagamento delle spese processuali e, stanti i profili di colpa insiti nella proposizione di siffatta impugnazione, anche al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si reputa equo determinare in Euro 3.000,00.

Non comportando la presente decisione la rimessione in libertà del ricorrente, la cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all‘art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.

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