La titolare di una pizzeria è stata condannata (legge 283 del 1962) per aver detenuto 48 kg di prodotti di carne in cattivo stato di conservazione.

L’ispezione aveva rivelato una situazione disastrosa: il locale era sporco, con un consistente strato di unto sul pavimento e residui di alimenti sugli strumenti e sugli attrezzi usati per preparare gli alimenti; la cella frigorifera e il congelatore a pozzetto erano unti e presentavano macchie di muffe. Le carni erano state congelate in sacchetti di plastica non idonei alla conservazione e si trovavano, in parte, in un secchio utilizzato in precedenza per il contenimento di vernici, il tutto senza indicazioni e/o informazioni relative ai prodotti. Gli alimenti, ritrovati all’interno dei congelatori, erano uniti tra loro a formare un unico blocco, segno di continua interruzione della catena del freddo ed emanavano un odore sgradevole.

La donna ha proposto ricorso in cassazione, che è stato dichiarato inammissibile, con ulteriore condanna al pagamento di un’ammenda.

Avv. Annalisa Gasparre – Specialista in Diritto penale

avvocatoannalisagasparre@gmail.com

Cass. pen., sez. III, ud. 11 giugno 2021 (dep. 21 ottobre 2021), n. 37844 – Presidente Rosi – Relatore Macrì

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza in data 12 settembre 2019 il Tribunale di Milano ha condannato D.N.  alle pene di legge per il reato della L. n. 283 del 1962, artt. 5 e 6, per la detenzione, a fini di somministrazione ai clienti del ristorante, di kg 48 di prodotti di carne in cattivo stato di conservazione.

2. La ricorrente presenta un atto di appello, riqualificato come ricorso per cassazione, articolato in tre motivi.

Con il primo osserva che il procedimento aveva tratto origine da un sopralluogo effettuato a Milano il 19 ottobre 2018 dal Corpo della Polizia locale, unitamente al Commissariato di Pubblica Sicurezza ……, presso la sua pizzeria, controllo nel corso del quale gli agenti avevano trovato dei prodotti in cattivo stato di conservazione nel locale seminterrato. In particolare, nei congelatori erano state trovate sia carni bovine che avicole, sia in sacchetti di plastica non idonei alla conservazione di alimenti sia all’interno di un secchio con evidenti segni di scongelamento e ricongelamento ed emananti un odore sgradevole. Secondo la ricorrente, la decisione del Giudice era stata tautologica, ma soprattutto non aveva spiegato l’effettivo pericolo connesso alle modalità di detenzione della merce e alla destinazione finale della stessa. Nulla aveva detto in merito al funzionamento dei congelatori e se la carne ivi custodita fosse o meno rovinata. Non vi era la prova dell’avvenuta interruzione della catena del freddo, considerato che non erano state effettuate le analisi sul prodotto in sequestro, mentre l’unico elemento di prova da cui era possibile desumere il cattivo stato di conservazione degli alimenti era dato dalla presenza del ghiaccio che formava un unico blocco. Era verosimile che gli alimenti, congelati all’origine in sacchetti non aderenti, avessero generato una condensa di umidità che aveva formato la brina determinandone la solidificazione.

Con il secondo denuncia la mancata applicazione dell’art. 131-bis c.p.. Non vi era stato alcun danno ai terzi e le carni erano destinate al macero. Lo stato d’incensuratezza e la non abitualità della condotta, trattandosi di un unico episodio, giustificavano il beneficio.

Con il terzo lamenta l’incongruenza del trattamento sanzionatorio, perché si era attribuito peso eccessivo alla quantità di merce in sequestro, senza tener conto della natura colposa del fatto, dell’assenza di conseguenze dannose e di contestazioni analoghe a suo carico. Lamenta altresì per gli stessi motivi l’omessa applicazione delle circostanze attenuanti generiche.

Considerato in diritto

3. Il ricorso è manifestamente infondato. Il Tribunale ha accertato che, all’atto ispettivo, il locale si presentava sporco, con un consistente strato di unto sul pavimento e residui di alimenti sugli strumenti e sugli attrezzi usati per preparare gli alimenti, e che la cella frigorifera e il congelatore a pozzetto erano unti e presentavano macchie di muffe. Le carni erano state congelate in sacchetti di plastica non idonei alla conservazione e si trovavano, in parte, in un secchio utilizzato in precedenza per il contenimento di vernici, il tutto senza indicazioni e/o informazioni relative ai prodotti. Gli alimenti, ritrovati all’interno dei congelatori, erano uniti tra loro a formare un unico blocco, segno di continua interruzione della catena del freddo ed emanavano un odore sgradevole. Eseguite le foto per documentare la situazione, gli alimenti erano stati poi distrutti con separato decreto.

Il primo motivo di ricorso non si confronta con la decisione impugnata e si limita a proporre una versione alternativa dei fatti il cui esame è precluso al giudice di legittimità.

Il secondo motivo è del pari inconsistente, perché il Giudice ha ben spiegato che la rilevante quantità di carne in pessime condizioni di conservazione, pari a 50 chili, non integrava un fatto di particolare tenuità. Non è necessario prendere in esame tutti gli elementi di valutazione, bastando l’esame di un elemento ostativo per giustificare il diniego dell’art. 131-bis c.p. (Cass., Sez. 6, n. 55107 del 08/11/2018, Rv. 274647-01). Lo stesso è a dirsi per il diniego delle circostanze attenuanti generiche non essendo stati evidenziati elementi decisivi in favore dell’imputato e non rilevando a tal fine l’incensuratezza. Il Giudice ha rilevato inoltre negativamente che l’imputata aveva avuto un comportamento poco collaborativo, nonostante le evidenze probatorie (Cass., Sez. U, n. 36258 del 24/05/2012, Biondi, Rv. 25315201).

Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per la ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che la ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

#

Comments are closed