Il tribunale ha condannato in primo grado il proprietario di un’azienda agricola per il delitto di maltrattamento aggravato di animali (art. 544 ter c.p.) perché deteneva numerosi cavalli in condizioni igienico-sanitarie pessime, non provvedendo alle visite e alle cure veterinarie.

Una cavalla di 20 anni in stato di cachessia moriva. L’imputato non chiamava il medico veterinario per timore che questi procedesse all’eutanasia della cavalla che era caduta pochi giorni prima.

La Polizia giudiziaria si era recata presso l’agriturismo con una veterinaria libero-professionista, all’uopo nominata ausiliaria di p.g. I cavalli erano classificati secondo il c.d. BSC che era per alcuni pari a 0 e per altri di poco superiore, in un quadro complessivamente pietoso.

La parte civile ha altresì prodotto una relazione da parte di un proprio consulente medico veterinario che ha visitato scrupolosamente gli animali sequestrati e corredato la relazione con letteratura scientifica, a conferma dell’accuratezza del parere redatto. Afferma il tribunale “Le negative valutazioni espresse dalla Polizia Giudiziaria in merito alle condizioni di salute dei cavalli allevati presso l’azienda agricola … sono stati confermate da consulente tecnico di parte civile … la quale, in esito agli accessi effettuati … , ha redatto articolata relazione, il cui contenuto ha integralmente confermato in sede di esame dibattimentale”.

La difesa dell’imputato non ha dimostrato che vi fossero farmaci, antiparassitari, né è stata prodotta documentazione medico veterinaria relativa alle cure prestate. Per quanto esistesse la formale nomina di un medico veterinario “aziendale” questo veniva chiamato di rado e non sempre venivano seguite le prescrizioni impartite.

Afferma il tribunale che “La situazione ambientale e le condizioni fisiche degli animali come documentate … dalla Polizia Giudiziaria con l’ausilio di quattro veterinari professionisti … non lasciano adito a dubbi circa il fatto che i 38 cavalli e il cane … fossero malnutriti, non adeguatamente curati e avessero a disposizione spazi non adeguati dal punto di vista igienico”. Molto interessante è poi l’inciso secondo cui la “deficitaria gestione dei cavalli” era “ben presente all’imputato, e che questi poco o nulla abbia fatto per porvi rimedio”. Il tribunale stigmatizza la mancata effettuazione a tutti i cavalli e al cane di profilassi vaccinale e trattamenti antiparassitari.

Nel processo era stata contestata anche l’aggravante della morte come conseguenza del maltrattamento. Nello specifico si trattava della morte di una cavalla di 20 anni, rispetto alla quale la difesa aveva provato ad obiettare che la causa della morte sarebbe stata il trasporto presso la Clinica Veterinaria Città di Lodi. Nondimeno il tribunale afferma che “anche ove si volesse ipotizzare che il trasporto dell’animale ne abbia accelerato il decesso, non è esclusa la responsabilità … in ordine alla cauzione del conclamato e pregresso stato di cachessia (profondo deperimento generale), origine prima e necessaria dell’exitus”. Il tribunale non si fa annebbiare la vista dal fatto che la cavalla era anziana né che effettivamente il decesso si verificava in clinica, perché il proprietario aveva l’obbligo giuridico di attenuare le sofferenze dell’animale anziché attendere passivamente che la natura facesse il suo corso.

Infine, il tribunale ritiene l’imputato “non meritevole del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in ragione della significativa offensività della condotta, considerato il numero di animali maltrattati e l’assenza di interventi correttivi”.

Gli animali sopravvissuti, già sotto sequestro, sono stati confiscati e affidati alle parti civili. È stata disposta altresì la sospensione dell’attività di allevamento, trasporto ecc. per tre mesi.

Avv. Annalisa Gasparre – Specialista in Diritto penale – foro di Pavia

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