Il detenuto aveva proposto reclamo al magistrato di sorveglianza per la mancanza di acqua calda in cella.

Secondo i giudici, nel caso concreto, il reclamo non è fondato. Nello specifico, infatti, il detenuto era ammesso al c.d. regime aperto e aveva la possibilità di trascorre 12 ore fuori dalla cella, potendosi muovere liberamente per tutta la sezione.

Quanto al bagno, è vero che quello della cella era privo di acqua calda, ma questo costituiva mero disagio e non violazione dei diritti fondamentali perché poteva fruire quotidianamente della doccia fuori dalla cella.

Avv. Annalisa Gasparre – Specialista in Diritto penale – annalisa.gasparre@gmail.com

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 11 aprile – 24 settembre 2019, n. 39096
Presidente Saraceno – Relatore Renoldi

Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza in data 17/5/2018, il Magistrato di sorveglianza di Torino, esaminando il reclamo proposto da Mo. Ni. ai sensi dell’art. 35-ter Ord. pen., lo aveva parzialmente accolto, concedendogli una riduzione di pena di 90 giorni, mentre lo aveva respinto in relazione al periodo compreso tra il 13/10/2015 e il 15/1/2018, trascorso presso la Casa circondariale di Torino. Durante tale periodo, infatti, il detenuto era stato ammesso, a partire dal 29/10/2015, al cd. regime aperto e aveva, quindi, potuto trascorrere ben 12 ore fuori dalla cella. Inoltre, le ulteriori circostanze evidenziate dal detenuto, come il fatto che il bagno della cella non fosse fornito di acqua calda, configuravano situazioni di mero disagio e non di violazione dei diritti fondamentali dato che Ni. poteva, comunque, fruire giornalmente della doccia.

2. Con ordinanza in data 10/10/2018, il Tribunale di sorveglianza di Torino respinse il reclamo avverso il provvedimento di primo grado, rilevando come in costanza del cd. regime aperto dovesse venire meno lo stesso presupposto della violazione del diritto, ovvero la mancanza dello spazio vitale, potendo il detenuto muoversi liberamente, per tutta la sezione di appartenenza, per 12 ore al giorno ed essendo tale condizione di per sé molto più favorevole dei cd. fattori allevianti elencati nella sentenza “Mursic vs. Croazia” richiamati dalla difesa, tra i quali vi era, del resto, proprio la possibilità di svolgere attività al di fuori della camera di detenzione. Secondo il Tribunale di sorveglianza, inoltre, doveva confermarsi che la mancanza di acqua calda nelle singole celle fosse una condizione di mero disagio e non di violazione dei diritti ai sensi dell’art. 3 CEDU, considerata la possibilità di usufruire della doccia con acqua calda.

3. Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione lo stesso Ni. per mezzo del difensore di fiducia, avv. Sh. Fo., deducendo, con un unico motivo di impugnazione, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione dell’art. 35-fer della legge 26 luglio 1975, n. 354. In particolare, il ricorso deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., che quello definito dal Tribunale di sorveglianza come “regime aperto” sarebbe, in realtà, un regime semiaperto, posto che, dalle 20,00 alle 8,00, il detenuto sarebbe, comunque, ristretto in cella. Ciò premesso, secondo la giurisprudenza di legittimità sarebbe, comunque, errato affermare che il regime semiaperto sia tale da bilanciare, annullandola, la mancanza dello spazio vitale minimo all’interno della cella, dovendo a tal fine ricorrere, in caso di spazio inferiore ai tre metri quadri, le seguenti circostanze: 1) la breve durata della detenzione; 2) una sufficiente libertà di movimento al dì fuori della cella con lo svolgimento di adeguate attività; 3) dignitose condizioni carcerarie.

Nel caso di specie, il Tribunale di sorveglianza non avrebbe considerato che i periodi durante i quali il detenuto era stato ristretto in camera singola si sarebbero intervallati con periodi, anche molto lunghi, di condivisione della cella con altro/i detenuto/i; e segnatamente: dal 20/10/2015 al 10/11/2015 (per giorni 21), dal 23/11/2015 al 2/12/15 (per giorni 9), dal 9/12/2015 al 4/2/2016 (per giorni 57), dal 9/2/2016 all’1/7/2016 (per giorni 142), dal 14/9/2016 al 9/5/2017 (per giorni 237), dal 16/5/2017 al 15/1/2018 (per giorni 244), durante i quali la superficie utile residua della cella, al netto degli arredi fissi, sarebbe stata pari a 5,61 metri quadri, insufficiente ad assicurare, ove condivisa con altri detenuti, lo spazio minimo vitale di tre metri quadri per ciascun ristretto.

Per quanto riguarda, infine, le dignitose condizioni carcerarie, la mancanza di acqua calda in cella non sarebbe stata calata nelle complessive condizioni detentive (caratterizzate da una camera condivisa con altri detenuti con spazio vitale inferiore ai tre metri quadri), fermo restando che Ni. Mo. non avrebbe fruito dell’uso della acqua calda per la doccia in ogni momento della giornata.
4. In data 20/3/2019, è pervenuta in Cancelleria la requisitoria scritta del Procuratore generale presso questa Corte, con la quale è stato chiesto il rigetto del ricorso.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere respinto.

2. La giurisprudenza di legittimità ha affermato, sulla scia delle ripetute pronunce della Corte Edu, che nel caso in cui una persona sia stata ristretta in un locale detentivo al cui interno fosse garantito uno spazio inferiore ai tre metri quadri pro capite, deve ritenersi integrata una forte presunzione di violazione dell’art. 3 CEDU, la quale può “essere superata dall’attenta valutazione del complesso delle condizioni detentive e, in particolare, delle ore trascorse dal condannato al di fuori delle camere di pernottamento, con possibilità di beneficiare, per svariate ore al giorno, di spazi di movimento corrispondenti all’intera sezione, alle stanze di socialità, ai locali passeggi ecc.” (cfr. Corte EDU, Grande Chambre, sentenza Mursic vs. Croatia in data 20/10/2016).

Viceversa, qualora lo spazio individuale minimo assicurato al detenuto, una volta scomputati gli arredi fissi, sia compreso tra i tre e i quattro metri quadrati, la stessa giurisprudenza ha affermato che devono essere presi in considerazione gli ulteriori aspetti che determinano la complessiva offerta del trattamento detentivo coma la mancanza di aria o di luce, i difetti della condizione igienica, la carenza di assistenza sanitaria o l’assenza di offerte ricreative o culturali e la quantità di «tempo assicurato al detenuto in locali ovvero aree esterne alla cella, che rappresenta uno dei più significativi (se non il più significativo) fattore di controbilanciamento della obiettiva ristrettezza dello spazio personale utile al movimento fruibile in cella allorquando questo sia compreso tra 3 e 4 mq (in termini Sez. 1, n. 52992 del 9/9/2016, Gallo, Rv. ; Sez. 1, n. 19665 del 29/3/2017, Di Maio, Rv. ; v., anche, Sez. 1, n. 26357 del 9/9/2016, dep. 2017, Macrina).

3. Nel caso di specie, benché lo spazio individuale, nei periodi oggetto del ricorso, fosse inferiore al limite dei tre metri quadri per ciascun detenuto, il Tribunale di sorveglianza ha, correttamente, ritenuto di superare la forte presunzione di violazione del divieto, posto dall’art. 3 Cedu, di trattamenti inumani o degradanti, rilevando la presenza di una situazione in grado di ridimensionare il dato, oggettivamente riscontrato, di uno spazio inferiore al limite ricordato. Infatti, il detenuto era stato sottoposto al regime detentivo previsto dalla Circolare 23 ottobre 2015, allegato b), del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria – Direzione generale dei Detenuti e del Trattamento, essendogli stato consentito di muoversi liberamente, per tutta la sezione, per dodici ore al giorno, ovvero per un periodo corrispondente al limite massimo indicato nel citato allegato b), limitandosi la presenza nella camera di detenzione alle sole ore notturne (ovvero dalle ore 20,00 alle ore 8,00).

Pienamente condivisibile deve, altresì, ritenersi l’ulteriore valutazione concernente la carenza di acqua calda nella cella, considerato che la stessa era stata, comunque, garantita nei bagni in comune e, in particolare, in occasione della fruizione delle docce, si da non consentire di ipotizzare alcun trattamento inumano o degradante rilevante ai sensi dell’art. 35-fer Ord. pen.

4. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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