Per stabilire cosa si intenda per privata dimora, ai fini della sussistenza dell’aggravante del furto, la giurisprudenza considera i seguenti elementi: a) utilizzazione del luogo per lo svolgimento di manifestazioni della vita privata (riposo, svago, alimentazione, studio, attività professionale e di lavoro in genere), in modo riservato ed al riparo da intrusioni esterne; b) durata apprezzabile del rapporto tra il luogo e la persona, in modo che tale rapporto sia caratterizzato da una certa stabilità e non da mera occasionalità; c) non accessibilità del luogo, da parte di terzi, senza il consenso del titolare.

Facendo applicazione di tali criteri, i giudici hanno confermato che la sagrestia è luogo funzionale allo svolgimento di attività complementari a quelle di culto e di attività ben più riservate rispetto a quelle che si svolgono nella chiesa, tra cui la vestizione dei celebranti, la preparazione delle attività liturgiche, l’attività di ricevimento riservato di determinati fedeli da parte del parroco, l’espletamento di attività di gestione della parrocchia caratterizzate da profili di riservatezza. Inoltre, il rapporto tra la sagrestia e il parroco è connotato da stabilità, trattandosi di locale servente non solo rispetto all’edificio sacro ma anche alla stessa casa canonica e che, dunque, deve ritenersi luogo destinato, in tutto o in parte, a privata dimora, essendo l’ingresso di terze persone selezionato ad iniziativa di colui che ne ha la disponibilità.

Avv. Annalisa Gasparre – Specialista in Diritto penale – annalisa.gasparre@gmail.com

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 21 gennaio – 30 aprile 2020, n. 13492 – Presidente Ciampi – Relatore Tornesi

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 28 novembre 2017 il G.U.P del Tribunale di Palermo, all’esito di giudizio abbreviato, dichiarava An. Do. responsabile dei reati di cui all’art. 624 bis cod. pen. (capo a) e agli artt. 55, comma 9, D.Lgs. n. 231/2007, 61 n. 2 cod. pen. (capo b), ovvero del furto, all’interno di una sagrestia, di un borsellino contenente la carta bancomat che veniva utilizzata per un prelievo abusivo di Euro mille presso un istituto di credito e per il pagamento di Euro 155,60 in una tabaccheria. Fatti commessi in —- il 9 maggio 2015.

1.1. Il predetto imputato veniva condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi dieci di reclusione ed Euro 400 di multa.

2. Con sentenza del 6 febbraio 2019 la Corte di Appello di Palermo ha confermato la pronuncia di primo grado.

3. An. Do., a mezzo del difensore di fiducia, eleva i seguenti motivi.

3.1. Con il primo motivo denuncia l’inosservanza e/o erronea applicazione di legge ed il vizio motivazionale in relazione all’art. 624 bis cod. pen. contestando la sussistenza di elementi probatori a suo carico. Inoltre, quanto alla qualificazione giuridica di tale reato, rileva che la sagrestia non può essere considerata un luogo di privata dimora in quanto vi si svolgono esclusivamente attività annesse alle funzioni religiose cui la chiesa è preposta. Soggiunge che, in ogni caso, per quanto attiene all’elemento soggettivo, va considerato il quadro clinico accertato dal c.t.u. nell’ambito del procedimento previdenziale per il riconoscimento dell’indennità di accompagnamento il quale aveva sostenuto che il ritardo mentale dell’An. era indice di un’età intorno a sei/otto anni.

3.2. Con il secondo motivo lamenta l’inosservanza e/o erronea applicazione di legge ed il vizio motivazionale in relazione all’art. 55, comma 9, D.Lgs. n. 231/2007, contestando la sussistenza del predetto reato.

3.3. Con il terzo motivo lamenta la violazione di legge ed il vizio motivazionale in relazione all’art. 62 bis cod. pen. lamentando che è stata esclusa la concessione delle attenuanti generiche nonostante il suo quadro clinico e lo stato di incensurato.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è inammissibile per genericità e manifesta infondatezza alla stregua di quanto qui di seguito esposto.

2. Giova rammentare che, secondo i principi consolidati della giurisprudenza di legittimità, i motivi di ricorso per cassazione possono riprodurre totalmente o parzialmente quelli di appello ma solo entro i limiti in cui ciò serva a documentare il vizio enunciato e dedotto, con autonoma, specifica ed esaustiva argomentazione (Sez. 6, n. 34521 del 27/06/2013, Rv. 256133).

In linea generale si osserva che la funzione tipica dell’impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce che si realizza attraverso la presentazione di motivi i quali, a pena di inammissibilità, devono indicare specificatamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione è, pertanto, indefettibilmente il confronto puntuale con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta.

Il motivo di ricorso in cassazione, poi, è caratterizzato da una duplice specificità. Esso, oltre ad essere conforme all’art. 581 lett. e) cod. proc. pen., quando «attacca» le ragioni che sorreggono la decisione deve, altresì, contemporaneamente enucleare in modo specifico il vizio denunciato, in modo che sia chiaramente sussumibile fra i tre, soli, previsti dall’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., deducendo altresì le ragioni della sua decisività rispetto al percorso logico seguito dal giudice del merito per giungere alla deliberazione impugnata, si da condurre a una decisione differente (Sez. 6, n. 8700 del 21 gennaio 2013, Rv. 254585).

3. Orbene, nel caso in esame i motivi di ricorso, già proposti con l’atto di appello, sono stati riprodotti pedissequamente in questa sede, in assenza di una censura argomentata alle ragioni contenute nella decisione impugnata.

4. Inoltre i predetti motivi poggiano su considerazioni di mero merito, non scrutinabili in sede di legittimità, a fronte della completezza e della tenuta logica – giuridica dell’apparato argomentativo posto a supporto della sentenza impugnata.

Va rammentato che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovo e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, Sez. 4, n. 31224 del 16/06/2016).

Ancora, la giurisprudenza ha affermato che l’illogicità della motivazione per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le incongruenze logicamente incompatibili con la decisione adottata purché siano spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento (per tutte, Sez. Un. n. 24 del 24/11/1999, Spina, v. 214794).

5. Ciò premesso si procede alla disamina dei singoli motivi di ricorso.

6. Il primo e il secondo motivo, essendo strettamente connessi, vengono esaminati unitariamente.

7. Osserva il Collegio che il ricorrente tende a riproporre in questa sede una diversa valutazione delle prove in termini non consentiti nel giudizio di legittimità sulla base della giurisprudenza pacifica anche a sezioni unite della Corte Suprema (Sez. U. n. 12 del 31/05/2000, Rv. 216260; Sez. U. n. 47289 del 24/09/2003, Rv. 226074).

Va evidenziato che, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, i giudici di merito hanno operato una puntuale ed esauriente disamina degli elementi processuali in coerenza con le risultanze acquisite.
I fatti sono stati così ricostruiti nella sentenza impugnata.

Verso le ore 11.00 del 9 maggio 2015 Ca. Ma. lasciava la borsa nella sagrestia della chiesa di …….. di ……… e si recava in un’altra stanza con il parroco. L’impianto di videosorveglianza installato nella sagrestia evidenziava che dopo pochi minuti entrava in quel locale un giovane che si appropriava della carta bancomat, della carta di credito e dei contanti presenti all’interno della borsa. Alle ore 11,26 veniva operato un prelevamento di denaro da un ATM presso una banca di ……….. con la carta bancomat della Ca. e, immediatamente dopo, essa veniva utilizzata per effettuare un pagamento di Euro 155,60 presso una tabaccheria sita in ……., corso ……… A tal riguardo Ma. Gi., marito della titolare del predetto negozio, affermava che l’acquisto era stato effettuato da un ragazzo e da una donna più anziana precisando che era stata quest’ultima a consegnare la carta bancomat per il pagamento.

Quanto ai riscontri individualizzanti a carico dell’imputato, i giudici di merito hanno valorizzato i riconoscimenti operati da Ma. Gi. e da Ve. Pa.; quest’ultima riferiva che l’An., verso le ore 11,00 del 9 maggio 2015, all’interno della chiesa di …., le aveva chiesto dove potesse trovare il Parroco. Tali elementi probatori erano ulteriormente corroborati dal riconoscimento, da parte dei Carabinieri, dell’An. nel soggetto ritratto nelle immagini estratte dall’impianto di video – sorveglianza, essendo già noto alle Forze dell’Ordine perché dedito alla commissione di reati contro il patrimonio.

7.1. La giurisprudenza di legittimità (Sez. Un. n. 31345 del 23/03/2017, Rv. 270076) ha chiarito che l’interpretazione letterale e sistematica dell’art. 624 bis cod. pen., confortata dai principi enucleagli dalle sentenze della Corte Costituzionale n. 135 del 2002 e n. 149 del 2008 e dai principi di diritto che si rinvengono nella sentenza delle Sezioni Unite n. 26795 del 28/03/2006, Rv. 234269, va definita sulla base dei seguenti elementi a) utilizzazione del luogo per lo svolgimento di manifestazioni della vita privata (riposo, svago, alimentazione, studio, attività professionale e di lavoro in genere), in modo riservato ed al riparo da intrusioni esterne; b) durata apprezzabile del rapporto tra il luogo e la persona, in modo che tale rapporto sia caratterizzato da una certa stabilità e non da mera occasionalità; c) non accessibilità del luogo, da parte di terzi, senza il consenso del titolare.
Orbene, la Corte distrettuale, facendo corretta applicazione di tali principi di diritto, ha ritenuto che il furto consumato all’interno della sagrestia della chiesa va sussunto nell’art. 624 bis cod. pen.
Ed invero la sagrestia è un luogo funzionale allo svolgimento di attività complementari a quelle di culto e di attività ben più riservate rispetto a quelle che si svolgono nella chiesa, tra cui la vestizione e la vestizione dei celebranti, la preparazione delle attività liturgiche, l’attività di ricevimento riservato di determinati fedeli da parte del parroco, l’espletamento di attività di gestione della parrocchia caratterizzate da profili di riservatezza. Va inoltre osservato che il rapporto tra la sagrestia e il parroco è connotata da stabilità, trattandosi di locale servente non solo rispetto all’edificio sacro ma anche alla stessa casa canonica e che, dunque, deve ritenersi luogo destinato, in tutto o in parte, a privata dimora, essendo l’ingresso di terze persone selezionato ad iniziativa di colui che ne ha la disponibilità (Sez. 4, n. 40245 del 30/09/2008, Rv. 241331).

7.2. Del tutto immune da vizi logici è la motivazione della sentenza impugnata anche nella parte in cui è stata ravvisata la sussistenza dell’elemento soggettivo dei reati contestati evidenziando che dalla perizia svolta in primo grado è emerso che l’imputato è affetto solo da un ritardo mentale di grado moderato, escludendo la sussistenza di un quadro psicotico, e che il predetto gode di autonomia di pensiero e di azione e di un’adeguata percezione della realtà esterna nonché di capacità critica e di valutazione delle conseguenze dei suoi atti.

La Corte distrettuale è così pervenuta al convincimento che l’imputato era perfettamente consapevole delle condotte da lui poste in essere.

7.3. E’ opportuno altresì soggiungere, quanto al reato di cui al capo b), che con il decreto legge 3 maggio 1991, n. 143 convertito dalla legge 5 luglio 1991, n. 197 il legislatore ha inteso contrastare il grave fenomeno del riciclaggio del denaro attuando una disciplina di controllo dei movimenti di denaro e di limitazione dell’uso del contante mediante anche l’uso delle carte di credito e dei documenti equipollenti ed ha così introdotto, all’art. 12, una nuova fattispecie penale. Tale fattispecie criminosa è stata poi riformulata dall’ 55, comma 9, del D.Lgs. n. 231 del 2007 in attuazione della direttiva 2005/60/CE sulla prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo. La predetta norma, abrogata dal D.Lgs. 1 marzo 2018, n. 21 è stata contestualmente trasposta nell’art. 493 ter cod. pen.

Tra le disposizioni di cui all’art. 55, comma 9, del D.Lgs. n. 231/2007 e di cui all’493 ter cod. pen., caratterizzate da un contenuto sostanzialmente omogeneo, ricorre un’ipotesi di continuità normativa dell’illecito penale che non comporta alcuna abolitio criminis del previgente intervento normativo.
Quanto al bene giuridico tutelato, tali norme, oltre a tutelare l’offesa al patrimonio individuale, garantiscono, in modo più o meno diretto, i valori riconducibili all’ambito dell’ordine pubblico economico e della fede pubblica, in considerazione del pregiudizio che l’indebita disponibilità di carte di credito e di documenti similari è in grado di arrecare alla sicurezza e alla speditezza del traffico giuridico e, di riflesso, alla fiducia che in essi ripone il sistema finanziario.

I giudici di merito hanno correttamente ravvisato la sussistenza del concorso tra il reato di cui all’art. 624 bis cod. pen. e quello di cui all’art. 55, comma 9, D.Lgs. n. 231/2007 trattandosi di condotte del tutto distinte, ossia eterogenee sotto l’aspetto fenomenico, verificandosi la seconda quando la prima è ormai esaurita e non trovando l’uso indebito delle carte di credito e dei documenti similari un presupposto necessario ed indefettibile nell’impossessamento illegittimo (in tal senso Sez. 5, n. 44018 del 10/10/2005, Rv. 232810 con riferimento alle fattispecie di cui all’art. 624 e art. 12 d.l. 3 maggio 1991, n. 143 convertito dalla legge 5 luglio 1991, n. 197).

8. In relazione al terzo motivo, si osserva che le censure articolate attengono a valutazioni discrezionali attribuite in via esclusiva al giudice di merito, le cui argomentazioni sono sottratte al sindacato di legittimità quando, come nel caso in esame, sono sorrette da motivazioni immuni da vizi logici e giuridici e danno conto anche richiamandoli, degli elementi tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della decisione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv. 271269).
Come è noto, secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte (ex plurimis, Sez.5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv. 271269), ai fini della determinazione del trattamento sanzionatorio, ivi compresa la valutazione sulla concedibilità delle attenuanti generiche, non è necessaria una analitica valutazione di tutti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen., essendo sufficiente la indicazione degli elementi ritenuti decisivi e rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri; il preminente e decisivo rilievo accordato all’elemento considerato implica infatti il superamento di eventuali altri elementi suscettibili di opposta e diversa significazione, i quali restano implicitamente disattesi e superati.
8.1. Orbene, nel caso in esame la Corte distrettuale ha sottolineato che l’imputato aveva tenuto una condotta spregiudicata in quanto, subito dopo avere commesso il furto nella sagrestia, ha utilizzato indebitamente la carta bancomat trafugata realizzando diverse operazioni che hanno determinato un significativo danno economico alla persona offesa e che qualificano negativamente la sua personalità.
9. Alla stregua di quanto sopra esposto va pronunciata la declaratoria di inammissibilità del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende.

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