Un cittadino del Ghana chiedeva il riconoscimento della protezione internazionale, ma l’istanza non veniva accolta dalla competente Commissione territoriale. Secondo il giudice, non vi erano i presupposti per il riconoscimento allo straniero dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria; il giudice non reputava credibili le dichiarazioni del richiedente, circa le ragioni che l’avevano indotto ad abbandonare il suo Paese; riteneva, inoltre, non sussistente, nella zona di provenienza dell’istante, una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato interno o internazionale; rilevava infine che non erano state allegate specifiche ragioni di vulnerabilità, ai fini della protezione umanitaria.
Sul punto la Corte di cassazione precisa che, ai fini della concessione dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria è indispensabile, anche ai fini dei necessari approfondimenti istruttori, la credibilità e l’attendibilità della narrazione dei fatti effettuata dal richiedente. La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito che deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili.
La valutazione delle dichiarazioni del richiedente asilo non deve essere rivolta ad una capillare ricerca di eventuali contraddizioni insite nella narrazione della sua personale situazione, dovendosi piuttosto effettuare una disamina complessiva della vicenda persecutoria narrata, con la conseguenza che la prognosi negativa circa la credibilità del richiedente non può essere motivata soltanto con riferimento ad elementi isolati e secondari o addirittura insussistenti, quando, invece, viene trascurato un profilo decisivo e centrale del racconto.
Nel caso di specie, il giudice ha ritenuto non credibile il ricorrente, perché si sarebbe contraddetto sui riti della comunità, senza, pertanto, espressamente escludere che la comunità in questione fosse dedita a rituali magici ed a sacrifici umani, essendosi piuttosto soffermato su meri elementi di dettaglio, come la scoperta dei corpi degli uccisi nei sacrifici umani, che talora sarebbe stata effettuata dalla polizia, talaltra no (cosa perfettamente possibile, avendo il ricorrente riferito che spesso i corpi venivano sepolti per renderli irrintracciabili), e sul fatto che, sebbene la comunità fosse, a detta del richiedente, segreta, alla danza rituale fosse talora ammessa la presenza di terzi.
Il giudice di merito ha, inoltre, accertato che il Gambia è connotato dalla violazione costante dei diritti umani, che si concreta in violenze della polizia, che culminano in uccisioni arbitrarie o illegali, stupri nei confronti di donne e ragazze, aggressioni nei confronti degli omosessuali, per i quali sono previste pene gravissime, irrogazione continua della pena di morte e condizioni carcerarie durissime, che talvolta sfociano in atti violenti diretti a porre in pericolo la stessa vita dei detenuti. Ciò nondimeno, il tribunale è pervenuto al convincimento che il richiedente, in caso di ritorno in patria, non verrebbe a trovarsi in alcuna delle situazioni di danno grave, senza, tuttavia, effettuare alcun accertamento di ufficio circa il pericolo che possa, in ipotesi, derivare al medesimo dagli specifici fatti (magia nera e riti sacrificali) denunciati dall’istante.
Avv. Annalisa Gasparre – foro di Pavia
Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 29 settembre – 22 dicembre 2020, n. 29258
Presidente De Chiara – Relatore Valitutti
Fatti di causa
1. Con ricorso al Tribunale di Lecce, Ib. Ab. Ga., cittadino del Ghana, chiedeva il riconoscimento della protezione internazionale, denegata al medesimo dalla competente Commissione territoriale.
Con decreto n. 2722/2018, depositato il 31 ottobre 2018, l’adito Tribunale rigettava il ricorso.
2. Il giudice di merito escludeva la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento allo straniero dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria, reputando non credibili le dichiarazioni del richiedente, circa le ragioni che l’avevano indotto ad abbandonare il suo Paese, ritenendo non sussistente, nella zona di provenienza dell’istante, una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato interno o internazionale, e rilevando che non erano state allegate specifiche ragioni di vulnerabilità, ai fini della protezione umanitaria.
3. Per la cassazione di tale provvedimento ha, quindi, proposto ricorso Ib. Ab. Ga. nei confronti del Ministero dell’interno, affidato a cinque motivi. L’intimato non ha svolto attività difensiva.
Ragioni della decisione
1. Con il primo, secondo e terzo motivo di ricorso, Ib. Ab. Ga. denuncia la nullità dell’impugnata sentenza per contraddittorietà assoluta, carenza di motivazione ed omesso o erroneo esame di un fatto decisivo della controversia, nonché per la violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 14 del D.Lgs. n. 251 del 2007 e 8 del D.Lgs. n. 25 del 2008, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3, 4 e 5 cod. proc. civ.
1.1. L’istante lamenta che il Tribunale abbia ritenuto – peraltro con motivazione del tutto inadeguata ed illogica – l’insussistenza dei presupposti per la concessione dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, ai sensi dell’art. 14, lett. a) e b) del D.Lgs. n. 251 del 2007, reputando erroneamente non credibile la narrazione dei fatti che lo avrebbe determinata a lasciare il Paese di origine, consistiti nel timore di essere perseguitato ed ucciso, o comunque sottoposto a violenza – essendogli stato già tagliato l’alluce di un piede -, da parte dei membri di una comunità che pratica la magia nera ed effettua sacrifici umani. Il tutto senza compiere alcun accertamento istruttorio ufficioso, ai sensi dell’art. 8 del D.Lgs. n. 25 del 2008.
1.2. Il ricorrente si duole, altresì, del fatto che il giudice di merito non abbia concesso al medesima neanche la protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c) del D.Lgs. n. 251 del 2007, senza tenere adeguatamente conto, sulla base di dati attinti da fonti internazionali aggiornate, ai sensi dell’art. 8 del D.Lgs. n. 25 del 2008, della situazione socio-politica del Paese di origine.
2. Le censure sono fondate, in relazione alla protezione sussidiaria ex art. 14, lett. a) e b) del D.Lgs. n. 251 del 2007.
2.1.1. Ai fini della concessione dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria ex art. 14, lett. a) e b) del D.Lgs. n. 251 del 2007, è invero indispensabile, anche ai fini dei necessari approfondimenti istruttori, la credibilità e l’attendibilità della narrazione dei fatti effettuata dal richiedente. La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito – e censurabile solo nei limiti di cui al novellato art. 360, n. 5 cod. proc. civ., laddove sia carente di motivazione o sorretto da una motivazione del tutto illogica o contraddittoria, tale da essere «apparente» – il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, ex art. 3, comma. 5, lettera c) del D.Lgs. n. 251 del 2007, costituente un parametro di attendibilità della narrazione (Cass. 05/02/2019, n. 3340).
La valutazione delle dichiarazioni del richiedente asilo non deve essere, tuttavia, rivolta ad una capillare ricerca di eventuali contraddizioni -atomisticamente esaminate – insite nella narrazione della sua personale situazione, dovendosi piuttosto effettuare una disamina complessiva della vicenda persecutoria narrata (Cass., 27/03/2020, n. 7546). Con la conseguenza che la prognosi negativa circa la credibilità del richiedente non può essere motivata soltanto con riferimento ad elementi isolati e secondari o addirittura insussistenti, quando, invece, viene trascurato un profilo decisivo e centrale del racconto (Cass., 08/06/2020, n. 10908; Cass., 19/06/2020, n. 11925).
2.1.2. Nel caso di specie, il giudice adito ha ritenuto non credibile il ricorrente, perché il medesimo si sarebbe contraddetto «sui riti della comunità», senza, pertanto, espressamente escludere che la comunità in questione fosse dedita – secondo il nucleo centrale della narrazione dell’istante – a rituali magici ed a sacrifici umani, essendosi piuttosto soffermato su meri elementi di dettaglio, come la scoperta dei corpi degli uccisi nei sacrifici umani, che talora sarebbe stata effettuata dalla polizia, talaltra no (cosa perfettamente possibile, avendo il ricorrente riferito che spesso i corpi venivano sepolti per renderli irrintracciabili), e sul fatto che, sebbene la comunità fosse, a detta del richiedente, segreta, alla danza rituale fosse talora ammessa la presenza di terzi.
Il giudice di merito ha, inoltre, accertato che il Gambia è connotato dalla «violazione costante dei diritti umani», che si concreta in violenze della polizia, che culminano in uccisioni arbitrarie o illegali, stupri nei confronti di donne e ragazze, aggressioni nei confronti degli omosessuali, per i quali sono previste pene gravissime, irrogazione continua della pena di morte e condizioni carcerarie durissime, che talvolta sfociano in atti violenti diretti a porre in pericolo la stessa vita dei detenuti. Ciò nondimeno, il Tribunale è pervenuto all’illogico ed immotivato convincimento che il richiedente, in caso di ritorno in patria, non verrebbe a trovarsi in alcuna delle situazioni di «danno grave», previste dall’art. 14, lett. a) e b) del D.Lgs. n. 251 del 2007, senza, tuttavia, effettuare alcun accertamento di ufficio – ai sensi dell’art. 8 del D.Lgs. n. 25 del 2008 – scirca il pericolo che possa, in ipotesi, derivare al medesimo dagli specifici fatti (magia nera e riti sacrificali) denunciati dall’istante.
2.2. I motivi in esame – nei limiti suindicati – vanno, pertanto accolti.
3. Ne deriva l’assorbimento del quarto e quinto motivo di ricorso, atteso che la protezione umanitaria va trattata solo ove vengano disattese le domande dirette ad ottenere gli strumenti tipici di protezione internazionale (Cass., 24/04/2019, n. 11261).
4. L’accoglimento del primo, secondo e terzo motivo di ricorso comporta la cassazione dell’impugnata sentenza con rinvio al Tribunale di Lecce in diversa composizione, che dovrà procedere a nuovo esame del merito della controversia, facendo applicazione dei principi di diritto suesposti, e provvedendo, altresì, alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il primo, secondo e terzo motivo di ricorso; dichiara assorbiti il quarto e quinto motivo di ricorso; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti; rinvia al Tribunale di Lecce in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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