Una donna veniva perseguitata dall’ex amante che la minacciava di riferire la relazione clandestina al marito di lei.

L’amante è stato ritenuto responsabile del reato di atti persecutori: la vittima infatti era stata costretta a chiedere l’aiuto di un neuropsichiatra e le era stata diagnosticata anche una anoressia nervosa. Risultava dunque integrato l’evento di danno previsto dalla norma incriminatrice e cioè il perdurante e grave stato di ansia o di paura.

A seguito delle condotte persecutorie, infatti, la donna era entrata in una profonda crisi ed era rimasta prostrata, dimagrendo molto. Le dichiarazioni erano peraltro riscontrate dal marito della donna che aveva assistito ad alcune condotte moleste e riferiva di averla vista sconvolta.

Avv. Annalisa Gasparre, avvocato specialista in diritto penale, foro di Pavia

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 12 gennaio – 2 febbraio 2021, n. 3940 – Presidente Fumu – Relatore Ranaldi

Ritenuto in fatto e considerato in diritto

1. Con sentenza del 25.6.2020 la Corte di appello di Torino, decidendo in sede di rinvio, ha confermato la sentenza di primo grado in relazione all’affermazione di penale responsabilità di M.C. per il reato di atti persecutori di cui all’art. 612-bis cod. pen. (capo A) in danno di E.S.

L’imputato era già stato assolto in appello dai reati di cui ai capi B) e C), mentre era stato condannato per i reati di cui ai capi D) e E), condanna divenuta definitiva a seguito della sentenza della Corte di cassazione del 21.3.2019 che aveva respinto il ricorso dell’imputato in relazione a tali reati, rinviando al giudice di merito solo in relazione al reato di cui al capo A). In particolare, nel giudizio rescindente la Suprema Corte aveva ritenuto che la sentenza di merito, accertate le condotte dell’imputato, non avesse motivato in ordine alla verificazione di (almeno) uno degli eventi alternativamente considerati dalla fattispecie di cui all’art. 612-bis cod. pen. ai fini della sussistenza del reato.

La Corte territoriale, in sede di rinvio, ha ritenuto la sussistenza del reato in questione, ritenendo che le condotte persecutorie messe in atto dall’imputato avessero ingenerato nella S. quantomeno un evento di danno consistente in un perdurante e grave stato di ansia o di paura.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del proprio difensore, lamentando violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza del reato di cui all’art. 612-bis cod. pen. in relazione alla testimonianza del teste C.R. e per essere stata fondata la decisione su documento non acquisito agli atti.

Si deduce che non è stato acquisito alcun elemento che comprovi che il dr. A.M. abbia formulato le valutazioni cui si è riferita la persona offesa, le cui dichiarazioni sono rimaste prive di riscontro medico. Si aggiunge che la Corte territoriale erroneamente non ha ritenuto di valorizzare la testimonianza di C.R., da cui si evince che la S. non aveva alcun problema nell’incontrare il C.

3. Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
4. Con memoria ritualmente depositata la parte civile E.S. chiede il rigetto del ricorso e la rifusione delle spese.

5. Il ricorso è inammissibile.

I motivi dedotti attengono chiaramente alla valutazione dei dati probatori, come tali essi non sono consentiti in questa sede, a fronte di una sentenza che ha motivatamente affrontato il compito – affidatole in sede rescindente – di valutare l’eventuale sussistenza di uno degli eventi integrativi del delitto di atti persecutori.

6. In proposito la Corte territoriale – sul presupposto della piena attendibilità della persona offesa, valutazione che era stata già confermata dalla Cassazione nella sentenza di annullamento – ha accertato che la persona offesa, a seguito delle condotte persecutorie, era entrata in una profonda crisi ed era rimasta prostrata, tanto che aveva “perso un sacco di chili”. I giudici di merito hanno riscontrato che a cagionare alla persona offesa uno stato di grave ansia erano state le ricorrenti minacce del C. di raccontare al marito di lei l’accaduto, con particolare riguardo alla loro pregressa (e clandestina) relazione sentimentale. Nella sentenza impugnata si dà conto della testimonianza della donna, che ha spiegato – a seguito delle condotte persecutorie dell’imputato – di essere entrata in cura da un neuropsichiatra (dr. A.M.), con diagnosi di anoressia nervosa e disturbo di personalità dipendente.

Dichiarazioni che in giudizio sono state riscontrate da quelle del marito di lei (P.R.), il quale ha ricordato di avere assistito personalmente ad alcune condotte moleste del C. nei confronti della propria moglie, e di averla vista per tali ragioni “sconvolta, non ce la faceva più, infatti non sapeva più come fare”. La testimonianza del C. non è stata ritenuta decisiva in senso contrario ai fatti accertati, avendo costui parlato solo di un breve incontro con la medesima, non significativo rispetto al quadro complessivo emergente dai dati probatori acquisiti nel processo.

Si tratta di una valutazione di merito esauriente, ponderata e non manifestamente illogica, come tale insindacabile in Cassazione.

7. Stante l’inammissibilità del ricorso, e non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. sent. n. 186/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria, nella misura indicata in dispositivo. Vanno poste a carico dell’imputato anche le spese sostenute dalla parte civile in questo giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della cassa delle ammende nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile S.E., che liquida in Euro tremila, oltre accessori di legge.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 D.Lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.

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