Il giudice di pace aveva assolto l’imputato dal reato di minacce assumendo che la volontà dello stesso era compromessa “da un turbinio di emozioni e sentimenti di varia natura esplicantesi in comportamenti più a scapito di se stesso che della ex compagna” con la quale erano insorti contrasti. Il giudice di merito ha quindi escluso l’elemento soggettivo del reato.

Il pubblico ministero ha però proposto ricorso in cassazione, che lo ha ritenuto fondato.

Rilevato che il reato di minaccia è reato formale di pericolo, per la cui integrazione non è richiesto che il bene tutelato sia realmente leso, bastando che il male prospettato possa incutere timore nel soggetto passivo, menomandone la sfera della libertà morale; la valutazione dell’idoneità della minaccia a realizzare tale finalità va fatta avendo di mira un criterio che rispecchi le reazioni dell’uomo comune.

Nondimeno, nella sentenza di merito si è fatto riferimento alla necessità di accertare l’effettivo timore cagionato nella persona offesa dall’espressione adoperata. Nel caso in esame, peraltro, il giudice di merito non ha escluso la sussistenza dell’elemento oggettivo del reato, ma di quello soggettivo.

Sussiste vizio di motivazione perché la sentenza impugnata, senza giungere ad escludere la capacità di intendere e di volere dell’imputato, erroneamente, attribuisce rilievo a stati emotivi penalmente, invece irrilevanti e, per altro verso, del tutto illogicamente, a fronte dei tenore dell’espressione indirizzata contro la persona offesa, ha valorizzato un istinto di morte dello stesso imputato, che non esclude l’elemento soggettivo del reato.

La Corte, annullando con rinvio la sentenza di assoluzione, chiarisce che, nel delitto di minaccia, il dolo, quale componente del fatto contestato, consiste nella cosciente volontà di minacciare ad altri un ingiusto danno ed è diretto a provocare la intimidazione del soggetto passivo, senza che sia necessario che in tale volontà sia compreso il proposito di tradurre in atto il male minacciato. Oggetto del reato è unicamente l’azione intimidatrice.

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Avv. Annalisa Gasparre – Specialista in diritto penale – foro di Pavia

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 13 marzo – 30 aprile 2015, n. 18184 – Presidente Nappi – Relatore De Marzo

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 17/03/2014 il Giudice di pace di … ha assolto D.G. dal reato di cui all’art. 612 cod. pen., perché il fatto non costituisce reato.

Il giudice di merito, pur avendo accertato che l’imputato aveva pronunciato all’indirizzo di M. F. le espressioni contestate (“Tu M., farai una finaccia, io andrò in galera o in casa di cura come quello che ha buttato dal ponte la ragazza, ma tu farai la stessa fine”), ha rilevato che non era sussistente l’elemento psicologico dei reato, poiché la volontà del G. era compromessa “da un turbinio di emozioni e sentimenti di varia natura esplicantesi in comportamenti più a scapito di se stesso che della ex compagna”, con la quale erano insorti contrasti in ordine alle modalità di visita della figlia minore.
2. II P.M. presso il Tribunale di Urbino ha proposto ricorso per cassazione, lamentando vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione agli artt. 43 e 612 cod. pen., sottolineando: a) che, nella sentenza impugnata, non è dato cogliere alcun richiamo a profili di valutazione idonei ad escludere la sussistenza dell’elemento soggettivo dei reato contestato; b) che l’efficacia intimidatoria della minaccia va apprezzata, in astratto e non rispetto all’effettivo turbamento generato nella persona offesa,.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è fondato.

Al riguardo, si osserva che il riferimento nella sentenza impugnata alla necessità di accertare l’effettivo timore cagionato nella persona offesa dall’espressione adoperata, pur inesatto (giacché, secondo l’orientamento più volte espresso da questa Corte, il reato di minaccia è un reato formale di pericolo, per la cui integrazione non è richiesto che il bene tutelato sia realmente leso, bastando che il male prospettato possa incutere timore nel soggetto passivo, menomandone la sfera della libertà morale; la valutazione dell’idoneità della minaccia a realizzare tale finalità va fatta avendo di mira un criterio che rispecchi le reazioni dell’uomo comune: Sez. 5, n. 8264 del 29/05/1992, Mascia, Rv. 191433), non ha rilievo nell’economia della decisione, poiché il giudice di pace non ha escluso la sussistenza dell’elemento oggettivo del reato.

Piuttosto, i vizi motivazionali si colgono nel fatto che la sentenza impugnata, senza giungere ad escludere la capacità di intendere e di volere dell’imputato, per un verso, sembra aver dato rilievo a stati emotivi penalmente irrilevanti, ai sensi dell’art. 90 cod. pen., e, per altro verso, del tutto illogicamente, a fronte dei tenore dell’espressione adoperata e chiaramente indirizzata contro la F., ha valorizzato un istinto di morte dello stesso G., che non esclude l’elemento soggettivo del reato.

Del resto, nel delitto di minaccia, il dolo, quale componente del fatto contestato, consiste nella cosciente volontà di minacciare ad altri un ingiusto danno ed è diretto a provocare la intimidazione del soggetto passivo, senza che sia necessario che in tale volontà sia compreso il proposito di tradurre in atto il male minacciato. Infatti, oggetto del delitto è unicamente l’azione intimidatrice (Sez. 1, n. 7382 del 11/06/1985, Dessi, Rv. 170186).

2. Alla stregua delle suesposte considerazioni, si impone, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio, per nuovo esame, al giudice di pace di …..

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio al giudice di pace di …. per nuovo esame. In caso di diffusione del presente provvedimento, si omettano le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 del d.lgs. n. 196 del 2003.

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