L’attività medica è altamente discrezionale.

Sulla base di tale affermazione la Corte di cassazione ha riformato la sentenza di condanna emessa a carico di un medico della Guardia medica.

La dottoressa di turno era stata condannata per omissione di atti d’ufficio. Nel caso concreto, aveva rifiutato una visita domiciliare a persona allettata a causa di una frattura al bacino, che lamentava forti dolori al basso ventre e alle vie urinarie, limitandosi a prescrivere un farmaco e ad inviare una infermiera per la rimozione del catetere.

Il ricorso coglie nel segno, perché la Suprema Corte ravvisa l’assenza degli elementi per integrare il reato.

Va richiamata la giurisprudenza sul tema là dove afferma che la condotta del medico in servizio presso la Guardia medica che rifiuti un intervento allorché la richiesta di intervento sia sollecitata da personale qualificato ovvero l’urgenza emerga evidente in considerazione della specifica ed accertata rappresentazione fatta al medico integra il reato di omissione di atti d’ufficio.

Deve però essere precisato che il medico conserva sempre e comunque la discrezionalità di apprezzare la necessità o meno della visita domiciliare, discrezionalità certamente sindacabile da parte del giudice sulla base degli elementi di prova sottoposti al suo esame. La discrezionalità segna il limite entro il quale sussiste un obbligo di effettuare un intervento e/o di scegliere quale tipologia e con che mezzi effettuarlo.

La Corte precisa che seppure il d.P.R. n. 41 del 1991, all’art. 13 comma 3°, “nell’enunciare quali siano i compiti e gli obblighi del medico in servizio presso la Guardia medica espressamente preveda che “Durante il turno di guardia il medico è tenuto ad effettuare al più presto tutti gli interventi che gli siano richiesti direttamente dall’utente (…), entro la fine del turno cui è preposto”, ciò non implica il venir meno dello spazio di discrezionalità scientifica necessario a valutare l’opportunità o la necessità delle modalità attraverso cui adempiere all’atto richiesto; discrezionalità altamente tecnica della professione sanitaria specie nella parte in cui deve essere decisa la tipologia di intervento che si rende opportuno, non certo necessariamente corrispondente alle specifiche richieste del paziente”.

Nel caso di specie, la condotta della ricorrente, che a seguito di richiesta telefonica ha provveduto ad effettuare una diagnosi e a somministrare la cura, non assume valenza di rifiuto penalmente rilevante, non essendo determinante il dato connesso all’esattezza o meno della diagnosi effettuata.

L’invio dell’infermiera per la rimozione del catetere, ritenuto risolutivo dei problemi lamentati, conferma solo il non necessario intervento domiciliare del sanitario; in altri termini, la dottoressa ha realizzato un atto del suo ufficio con una differente modalità di intervento rispetto alla richiesta visita domiciliare.

È dunque carente l’elemento oggettivo del reato.

Avv. Annalisa Gasparre – foro di Pavia – Specialista in Diritto penale

Cass. pen., sez. VI, ud. 16 dicembre 2021 (dep. 15 febbraio 2022), n. 5380 – Presidente Fidelbo – Relatore Costantini

Ritenuto in fatto

1. P.P., per mezzo del difensore di fiducia avvocato S.P., ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo che ha confermato la sentenza del Tribunale di …… che la aveva condannata alla pena di mesi quattro di reclusione in ordine al delitto di omissioni di atti d’ufficio ex art. 328 c.p., comma 1.

Secondo l’accusa P.P. si sarebbe resa responsabile del reato di cui all’art. 328 c.p., comma 1, perché, in qualità di medico di turno presso il presidio di Guardia Medica di (omissis), indebitamente rifiutava di sottoporre L.L., persona allettata a causa di una frattura al bacino, a visita domiciliare; in (omissis).

Il Tribunale aveva fondato l’affermazione di responsabilità della ricorrente, medico in servizio presso la Guardia Medica di (omissis), sulla base della denuncia sporta dalla persona offesa L.L., donna allettata da circa una settimana per la rottura del bacino a causa di una caduta che, la sera tra il (omissis), aveva accusato forti dolori al basso ventre e alle vie urinarie e chiamato in aiuto M.F., sua vicina di casa. Proprio la M., vedendola sofferente, aveva telefonato alla Guardia Medica alla quale aveva rappresentato lo stato in cui si trovava la donna e richiesto un intervento al medico di turno, identificata nella P.

La dottoressa aveva dichiarato di non potere effettuare la visita poiché impegnata presso la Guardia Medica ed impossibilitata a lasciare sguarnito il servizio, ma prescriveva, sulla base della sintomatologia manifestata ricondotta ad una infezione delle vie urinarie, la assunzione di compresse di “tachipirina”. Successivamente richiamava personalmente la L. che rappresentava al medico di guardia lo stato di sofferenza in cui versava ricevendo quale risposta la conferma della diagnosi in precedenza fatta e che, quanto all’opportunità di togliere il catetere, che lo stesso “non si mette e toglie e a piacimento”. La dottoressa si rifiutava di fornire il nominativo di una infermiera a cui eventualmente rivolgersi per assisterla durante la notte. Successivamente, contattata un’infermiera, veniva rimosso il catetere che risultava essere stata la causa dei dolori patiti.

Il Giudice di primo grado riteneva integrato il delitto contestato, essendo stato accertato che la sera del (omissis) la P., medico di turno in servizio presso la locale Guardia Medica, pur informata dei fortissimi dolori addominali che accusava la L., rifiutava di eseguire una visita domiciliare, limitandosi a prescriverle un farmaco (tachipirina).

La Corte di appello, confermato lo sviluppo degli eventi che venivano meglio scanditi nella parte in cui si succedevano le due telefonate rivolte alla richiesta di intervento della Guardia medica e precisato che era stata espressa la mancanza di necessità di un intervento domiciliare personale da parte del medico aveva prescritto l’assunzione della tachipirina per contrastare la rilevata infezione alle vie urinarie, pur ritenendo la natura discrezionale dell’attività medica sulla scorta della sintomatologia comunicata dalla paziente al telefono, ha ritenuto comunque sussistente il rifiuto di atti di ufficio in quanto, in ragione del forte dolore alle vie urinarie lamentato dalla paziente, ipertesa e già alettata da dieci giorni, sarebbe stato doveroso un intervento domiciliare.

La Corte territoriale ha ritenuto come fosse possibile per il giudice penale sindacare l’operato del medico al fine di verificare se la valutazione operata fosse censurabile e se costituisse un mero strumento per rifiutare un atto doveroso; doverosità apprezzata come esistente sulla base dei sintomi riferiti dalla paziente e segnatamente dal forte dolore di intensità insopportabile, rappresentati in occasione della chiamata anche dalla M. , situazione che non consentiva omissione al medico circa necessaria verifica mediante visita obiettiva.

2. La ricorrente deduce i seguenti motivi di ricorso.

2.1. Violazione di legge ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione all’elemento oggettivo e soggettivo di cui all’art. 328 c.p.

2.1.1. In ordine all’elemento oggettivo, la ricorrente evidenzia la insussistenza di elementi da cui desumere la responsabilità della P. che aveva provveduto, appreso il quadro sintomatologico, a somministrare la terapia risultata più appropriata poi realizzata con l’estrazione del catetere. In ragione di ciò nessuna omissione di atto di ufficio si ebbe a verificare tenuto conto che l’infermiera G. raggiunse l’abitazione della paziente L.L. ancor prima che potesse giungere la dottoressa P.

Mancherebbe inoltre ogni elemento a sostegno della ritenuta sussistenza della potenzialità lesiva del rifiuto in assenza di un accertamento tecnico a garanzia della corretta interpretazione delle risultanze probatorie; accertamento che non potrebbe ritenersi realizzato con l’esame del teste Mi. che, tra l’altro, ha in via prevalente escluso che la rimozione del catetere costituisca un fatto urgente.

Tale ultima circostanza, qualora rettamente valorizzata, avrebbe portato ad escludere una responsabilità in capo alla ricorrente, responsabilità cui la Corte territoriale è pervenuta attraverso non pertinente riferimento a giurisprudenza che aveva ad oggetto questione di urgenza non sovrapponibile a quella in esame.

2.1.2. Per quanto attiene l’elemento soggettivo, deve ritenersi assente in capo alla ricorrente la rappresentazione e volizione di un contegno omissivo idoneo a configurare il reato. La P., piuttosto, aveva esercitato attivamente il proprio ruolo dapprima effettuando una valutazione della sintomatologia della persona offesa, e, successivamente, operando la scelta della terapia da applicare di modo che questa fosse idonea a fronteggiare l’attesa necessaria all’intervento di un’infermiera (ossia della figura a cui realmente spettava l’esecuzione della prestazione sanitaria richiesta dal paziente), e tale da evitare che si rendesse necessario abbandonare il presidio di Guardia Medica onde fronteggiare la necessità di intervenire in ipotesi di quadri clinici oggettivamente più gravi.

La consapevole scelta della P. di non effettuare la prestazione domiciliare avveniva conformemente al dettato degli Accordi Collettivi Nazionali e le relative linee guida che indicano come facoltativa l’esecuzione di prestazioni aggiuntive quale è quella relativa alla sostituzione del catetere, omissione che pertanto esclude possa essere penalmente rilevante.

2.2. Contraddittorietà e manifesta illogicità della sentenza resa dalla Corte di appello, stante l’omessa valutazione della credibilità oggettiva e soggettiva delle dichiarazioni rese dalla L., nonché del loro contrasto con le altre prove testimoniali.

La Corte avrebbe erroneamente ritenuto di superare le discordanze, anche temporali, emerse nella narrazione da parte della L., facendo riferimento alla non esaustiva presenza di motivi di inimicizia, astio o rancore nei confronti della P.

La peculiare natura del reato contestato avrebbe invece richiesto una ricostruzione puntuale dell’elemento cronologico con particolare riferimento al tempo in cui sarebbe sorta l’asserita urgenza del compimento dell’atto dovuto e, corrispondentemente, l’asserito pericolo, quand’anche astratto, idoneo a configurare il reato. Nonostante le specifiche doglianze avanzate sul punto, lacunosa risulterebbe la ricostruzione operata dai Giudici di merito la cui ricostruzione è totalmente disancorata dalle dichiarazioni di tutti i testi diversi dalla L. e dalla M.

La Corte di merito avrebbe illogicamente apprezzato come irrilevante la deduzione secondo cui la G., diversamente da quanto riferito dalla L., non abitasse ad […] ma a (omissis) (stesso luogo di residenza della L. e perciò da lei facilmente raggiungibile), dato essenziale nella parte in cui dimostra la credibilità dell’infermiera, soggetto terzo, che aveva dichiarato di essere intervenuta tempestivamente.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è fondato nella parte in cui censura l’assenza degli elementi necessari ai fini della integrazione del delitto di omissioni di atti d’ufficio.

2. Deve premettersi che la Corte di appello, confermando sul punto la decisione del primo giudice, ha ritenuto esistente, sulla base di quanto telefonicamente prospettato sia dall’amica della L. che da costei che successivamente effettuava la chiamata richiedendo la visita della Guardia medica presso il domicilio, che la situazione rappresentata imponesse alla P. un intervento presso il domicilio, cosicché la condotta della ricorrente che si era limitata a prescrivere l’assunzione della “tachipirina” senza effettuare la richiesta visita, costituirebbe condotta omissiva penalmente rilevante.

3. Ciò premesso, non sfugge al Collegio la giurisprudenza di questa Corte che rileva come la condotta del medico in servizio presso la Guardia medica che rifiuti un intervento allorché la richiesta di intervento sia sollecitata da personale qualificato ovvero l’urgenza emerga evidente in considerazione della specifica ed accertata rappresentazione fatta al medico (in tali termini quanto a richiesta di intervento effettuata da parte di personale infermieristico v., Sez. 6, n. 14979 del 27/11/2012, dep. 2013, M., Rv. 254863; ovvero a richiesta di intervento da parte di un malato terminale che richiedeva un intervento per la prescrizione di un farmaco antidolorifico, v., Sez. 6, n. 43123 del 12/07/2017, Giancristofaro, Rv. 271378), integri il reato di omissione di atti d’ufficio ex art. 328 c.p., comma 1; situazione connotata da inequivoca gravità che rende palese come il comportamento del sanitario in servizio risulti pretestuoso e strumentale al rifiuto di adempiere alla richiesta di intervento domiciliare urgente tale da integrare la necessità della relativa esecuzione quale atto indifferibile e penalmente rilevante ex art. 328 c.p., comma 1.

La giurisprudenza di questa Corte di Cassazione è però ferma nel ribadire che il medico conserva sempre e comunque la discrezionalità di apprezzare la necessità o meno della visita domiciliare ai sensi del D.P.R. n. 41 del 1991, art. 13, comma 3, certamente sindacabile da parte del giudice sulla base degli elementi di prova sottoposti al suo esame (tra le tante, v. Sez. 6, n. 23817 del 30/10/2012, Tomas, Rv. 255715; Sez. 6. n. 12143 del 11/02/2009, Bruno, Rv. 242922); ambito di discrezionalità che segna il limite entro il quale sussiste un obbligo di effettuare un intervento, ma soprattutto, di scegliere quale tipologia e con che mezzi effettuare lo stesso.

Seppure, infatti, il D.P.R. n. 41 del 1991, art. 13, comma 3, tutt’ora in vigore, nell’enunciare quali siano i compiti e gli obblighi del medico in servizio presso la Guardia medica espressamente preveda che “Durante il turno di guardia il medico è tenuto ad effettuare al più presto tutti gli interventi che gli siano richiesti direttamente dall’utente (…), entro la fine del turno cui è preposto”, ciò non implica il venir meno dello spazio di discrezionalità scientifica necessario a valutare l’opportunità o la necessità delle modalità attraverso cui adempiere all’atto richiesto; discrezionalità altamente tecnica della professione sanitaria specie nella parte in cui deve essere decisa la tipologia di intervento che si rende opportuno, non certo necessariamente corrispondente alle specifiche richieste del paziente.

La condotta della ricorrente, pertanto, che a seguito di richiesta telefonica ha comunque provveduto ad effettuare una diagnosi e somministrare la cura da assumere ad opera della paziente, non assume valenza di rifiuto penalmente rilevante, non essendo certo determinante il dato connesso all’esattezza o meno della diagnosi effettuata. Nè tale valutazione discrezionalmente operata dal medico può essere soppiantata dal fatto che la L. e gli altri testi sentiti abbiano concordemente affermato essere stato risolutivo l’intervento dell’infermiera chiamata che, secondo quanto emerso, avrebbe sostituito il catetere; dato che, se possibile, conferma solo il non necessario intervento domiciliare del sanitario, ma non anche che quello dispensato per telefono – in assenza di perizia medico legale idonea se del caso a confutare la idoneità del giudizio – fosse inesatto o, soprattutto, che la P. avesse rifiutato un atto del suo ufficio realizzatosi attraverso una differente modalità di intervento rispetto all’invocata visita domiciliare.

4. Carenza dell’elemento oggettivo di un rifiuto penalmente rilevante che ridonda necessariamente sullo stesso elemento soggettivo del reato, in ordine al quale “è necessario che il pubblico ufficiale abbia consapevolezza del proprio contegno omissivo, dovendo egli rappresentarsi e volere la realizzazione di un evento “contra ius”, senza che il diniego di adempimento trovi alcuna plausibile giustificazione alla stregua delle norme che disciplinano il dovere di azione” (Sez. 6, n. 36674 del 22/07/2015, Martin, Rv. 264668; Sez. 6, n. 51149 del 09/04/2014, Scopelliti, Rv. 261415; Sez. 6, n. 8996 del 11/02/2010, Notarpietro, Rv. 246410). Elemento sulla cui esistenza, invero, nonostante specifico motivo di gravame, nessun dato è stato messo in evidenza.

La realizzazione dell’intervento per mezzo della diagnosi resa all’esito dell’ascolto delle problematiche di salute rappresenta una palese giustificazione che esclude in radice la rappresentazione e la volontà di realizzare un evento contra ius e pertanto la consapevolezza di aver assunto un contegno omissivo tale da integrare il rifiuto penalmente rilevante ex art. 328 c.p., comma 1.

5. L’esclusa integrazione della fattispecie contestata impone l’accoglimento del ricorso cui consegue l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.


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