Un uomo aveva accusato un dolore al braccio sinistro e al petto e aveva riferito un episodio di vomito; nonostante un antidolorifico il dolore non passava; veniva quindi accompagnato al Pronto Soccorso.

I controlli ivi effettuati non denotavano allarmi e quindi veniva dimesso con prescrizioni farmacologiche. Durante la notte, però, l’uomo decedeva.

L’autopsia indicava che la causa del decesso era un evento ischcemico coronarico acuto, conseguente a trombosi di un ramo coronarico, a sua volta secondario a fissurazione di placca ateromasica, in soggetto affetto da severa miocardiopatia ischemica cronica e aterosclerosi diffusa.

Secondo i consulenti tecnici e i periti nominati, nonostante la natura scarsamente tipica della sintomatologia lamentata, doveva essere presa in considerazione la suggestiva concomitanza del dolore alle braccia e dell’episodio di vomito, che avrebbe dovuto essere valorizzata ai fini di una diagnosi differenziale rispetto a quella formulata.

Il medico di turno, anziché dimettere nel giro di nemmeno un’ora il paziente, avrebbe dovuto esperire indagini su una possibile origine ischemica della sintomatologia, disponendo un ECG e il dosaggio della troponina; procedendo così, vi sarebbe stato il tempo sufficiente per intervenire utilmente sull’uomo, aumentando in modo significativo le sue possibilità di sopravvivere.

In definitiva, secondo i giudici, malgrado fosse assente, nel caso di specie, il tratto sintomatico maggiormente tipico delle patologie ischemiche cardiache (ossia la precordialgia), è pur vero che vi è una non trascurabile percentuale di casi in cui “i sintomi di tali patologie (e, in specie, dell’infarto) possono essere atipici, o comunque non riconducibili univocamente a un corteo sintomatologico specifico e inequivocabile, al punto che in un significativo numero di casi addirittura non vi sono sintomi di alcun tipo”.

Nel caso concreto assumeva portata suggestiva la concomitanza fra il dolore alle braccia – rientrante tra i dolori toracici – e l’episodio di vomito occorso nella serata prima del ricovero. Il medico “poteva e doveva rappresentarsi l’eventualità di essere al cospetto di un soggetto con infarto in corso”. In altri termini, “vi erano tutte le condizioni che suggerivano, ed anzi imponevano al medico di turno di esperire accertamenti onde pervenire a una diagnosi differenziale, ossia di considerare l’ipotesi (omissis) che i sintomi presentati (omissis) potessero essere correlati a episodio di cardiopatia ischemica acuta e che si dovesse pertanto procedere ad accertamenti in tale direzione.

Quanto al nesso causale, i giudici rilevano che nel presidio ospedaliero era attivo un reparto di cardiologia con unità di terapia intensiva coronarica, in grado di praticare tempestivamente la defibrillazione, con esiti prevedibilmente istantanei e favorevoli al paziente; il paziente però veniva dimesso e, una volta coricatosi, non era monitorato quando sopravvenne l’aritmia mortale, mentre “qualora invece egli fosse rimasto nello stesso ospedale e sottoposto a monitoraggio (omissis) l’aritmia sarebbe stata interrotta con effetto immediato con applicazione della defibrillazione elettrica, e con esito salvifico”.

Avv. Annalisa Gasparre – foro di Pavia – Specialista in Diritto penale

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 24 febbraio – 4 maggio 2021, n. 16483 – Presidente Izzo – Relatore Pavich

Ritenuto in fatto

1. La Corte d’appello di Brescia, in data 30 gennaio 2020, ha parzialmente riformato nelle statuizioni civili (diminuendo la misura della provvisionale dovuta alle parti civili), e nel resto ha confermato, la sentenza emessa dal Tribunale di Mantova in data 10 ottobre 2018, con la quale l’imputato S.C.E.J. e il responsabile civile Ospedale …. in (omissis).

1.1. In estrema sintesi il B., nel pomeriggio del (…), rientrando dal lavoro aveva accusato un dolore al braccio sinistro e “un po’ qua davanti”, come riferito dalla madre, P.N., e da F.F. nelle rispettive deposizioni. La P. praticava allora al figlio un’iniezione di Contramal, indi il B. si coricava; alle 2 di notte però si svegliava, lamentando la persistenza del dolore, e veniva accompagnato al Pronto soccorso dell’ospedale di (omissis), ove l’odierno imputato S.C., quella notte, era in servizio come medico di turno. Sulla base dei sintomi riferiti al medico, confermati da altre fonti di prova, risulta che il B. lamentava dolore ad ambo le braccia e riferiva di avere avuto un episodio di vomito dopo avere mangiato un panino kebab; il dolore, che a detta del paziente si era presentato con modalità analoghe un anno prima, risultava aumentare alla digitopressione; il controllo dei valori pressori e del battito cardiaco dava esiti nella norma. Il B. veniva quindi dimesso dal S.C. con diagnosi di “dispepsia, algia arti superiori” e correlate prescrizioni farmacologiche. Tornato a casa, si coricava, ma il mattino dopo (alle 07.30) la madre ne constatava il decesso.

La consulenza medico legale disposta nell’ambito del procedimento, a seguito di autopsia e di indagini tossicologiche, indicava, quale causa del decesso, un evento ischemico coronarico acuto, conseguente a trombosi di un ramo coronarico, a sua volta secondario a fissurazione di placca ateromasica, in soggetto affetto da severa miocardiopatia ischemica cronica e aterosclerosi diffusa.

1.2. Sebbene più soggetti qualificati, compresi il C.T.U. e i periti nominati nel corso dell’udienza preliminare (prof. T. e d.ssa Se.), abbiano dato atto della natura scarsamente tipica della sintomatologia del B. (mancando in particolare il caratteristico sintomo della precordialgia), nondimeno veniva presa in considerazione la suggestiva concomitanza del dolore alle braccia e dell’episodio di vomito, che – considerata la non infrequente casistica di episodi di infarto caratterizzati da sintomi atipici o addirittura assenti – avrebbe dovuto essere presa in considerazione ai fini di una diagnosi differenziale rispetto a quella formulata. In sostanza, le valutazioni peritali (che a ben vedere hanno costituito un indice probatorio rilevante sia nella condanna di primo grado, sia nella sostanziale conferma della stessa in appello) si sono appuntate sul fatto che, se il S.C. , anziché dimettere nel giro di nemmeno un’ora il B., avesse esperito indagini su una possibile origine ischemica della sintomatologia, disponendo un ECG e il dosaggio della troponina, ragionevolmente vi sarebbe stato il tempo sufficiente per intervenire utilmente sul B., aumentando in modo significativo (anche se sul punto non è stata raggiunta la certezza) le sue possibilità di sopravvivere.

La Corte di merito, nel replicare ai motivi di doglianza dell’imputato e del responsabile civile proposti con i rispettivi atti d’appello, ha ravvisato la sussistenza del nesso di causalità tra la condotta omissiva e l’evento, inquadrando la condotta del S.C. come caratterizzata da colpa grave; sono state poi esaminate le questioni attinenti all’entità della somma da liquidarsi a titolo di provvisionale, il cui ammontare è stato ridotto rispetto a quello determinato in primo grado.

2. Avverso la prefata sentenza d’appello ricorrono il S.C. e il responsabile civile Ospedale …… di (omissis).

3. Il ricorso del S.C. consta di quattro motivi, cui si sono aggiunti successivamente due motivi nuovi.

3.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione a proposito dell’accertamento del nesso di causalità tra la condotta asseritamente omissiva e l’evento: richiamati i principi fondamentali enunciati al riguardo dalla giurisprudenza di legittimità, l’esponente contesta che la succinta motivazione resa sul punto dalla Corte di merito non rispetta il dovere di accertare la dipendenza eziologica fra la condotta addebitata e la morte del paziente “con alto grado di credibilità razionale”, nonché attraverso il ragionamento controfattuale. In primo luogo l’assunto secondo cui la condotta omissiva dell’imputato sarebbe stata quella di avere omesso di eseguire immediatamente l’ECG e di esperire subito un tentativo di vascolarizzazione è stato modificato in quello di non avere disposto il ricovero in terapia intensiva coronarica, atteso che gli interventi suddetti non erano prontamente disponibili; ma soprattutto non si è considerato che gli stessi periti, sulle cui valutazioni la Corte di merito poggia la propria decisione, avevano escluso che una tempestiva diagnosi avrebbe nella specie evitato o ritardato il decesso con alto grado di probabilità; e, di fatto, sposa il criterio probabilistico, che la giurisprudenza successiva alla sentenza Franzese aveva superato. Per il resto il percorso argomentativo della Corte bresciana si riduce a una sommaria e confusa citazione di alcuni aspetti tecnico – scientifici, in termini essenzialmente ipotetici e per nulla aderenti alla vicenda oggetto del processo.

3.2. Con il secondo motivo il deducente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla configurabilità, nella specie, della colpa, e della qualificazione della stessa come “grave”: la colposità della condotta, secondo il ricorrente, è stata qui ravvisata con disamina ex post, anziché procedere a una valutazione ex ante che tenesse conto di tutte le peculiarità del caso concreto e, in specie, al corteo sintomatologico rilevato nella specie: non si è tenuto conto che il dolore alle braccia, come affermato dalle Linee guida più accreditate, può ritenersi indicativo di una patologia cardiaca solo in assenza di altre evidenti cause che lo possano giustificare e di ulteriori sintomi che lo accompagnino; ma, nella specie, il B. aveva riferito al S. che quello stesso giorno, durante la sua attività lavorativa, aveva effettuato sforzi fisici che potevano spiegare il dolore agli arti superiori e consentivano di escludere l’origine cardiaca degli stessi. Ulteriori notazioni critiche vengono svolte a proposito del grado della colpa: muovendo dalla considerazione che al caso di specie deve applicarsi quanto stabilito dalla L. n. 189 del 2012 (Legge Balduzzi), occorreva verificare se nella specie potesse o meno parlarsi di colpa “grave”, tale da legittimare in base alla disciplina richiamata la rilevanza penale della condotta; in tale verifica occorreva accertare il grado di “prevedibilità” e di “prevenibilità” dell’evento, ed è evidente, secondo il ricorrente, che in una situazione come quella ricorrente nel caso in esame non poteva certo affermarsi che l’evento medesimo fosse “altamente” prevedibile e prevenibile.

3.3. Con il terzo motivo si denunciano violazione di legge e vizio di motivazione a proposito dei criteri di valutazione delle prove e del giudizio di inattendibilità delle prove contrarie: giudizio che la Corte di merito esprime senza fornire di ciò alcuna giustificazione e senza confrontarsi con le ragioni di critica mosse dalla difesa alle valutazioni peritali, basate essenzialmente sulle dichiarazioni rese in sede d’indagine dai congiunti del B., non confermate in dibattimento.

3.4. Con il quarto motivo si denuncia violazione di legge a proposito della determinazione della provvisionale a favore delle parti civili, di cui si lamenta l’eccessività e la scarsa giustificazione avuto riguardo all’assenza di legami con la vittima da parte delle stesse.

3.5. Nei motivi nuovi depositati dallo stesso ricorrente vengono ulteriormente illustrate le doglianze per violazione di legge e vizio di motivazione sul piano dell’affermata sussistenza del nesso causale (primo motivo nuovo) e della sussistenza della colpa e della sua qualificazione come “grave” (secondo motivo nuovo).

4. Il ricorso del responsabile civile Ospedale …… consta di due motivi.

4.1. Con il primo si denunciano violazione di legge e vizio di motivazione a proposito della liquidazione della provvisionale, a fronte della quale si lamenta l’assenza di elementi idonei a provare l’effettiva esistenza del danno e il fatto che la misura della somma liquidata eccede la soglia di prevedibilità degli importi da liquidare a titolo di danno.

4.2. Con il secondo motivo si denunciano violazione di legge e vizio di motivazione, in primo luogo, a proposito del nesso causale; riprendendo le argomentazioni poste a base del primo motivo del ricorso dell’imputato, il ricorrente responsabile civile evidenzia la natura generalizzante e astratta delle considerazioni svolte dalla Corte di merito nei ragionamento controfattuale, non ancorato alle specificità del caso ma basato su considerazioni di ordine generale riferite a soggetti colpiti da analoghe patologie. Denuncia inoltre il ricorrente il fatto che la motivazione della sentenza sul punto si basa esclusivamente sul solo richiamo all’elaborato peritale, senza menzionare gli altri elaborati medico – legali, In secondo luogo il ricorrente responsabile civile denuncia analoghi vizi a proposito del grado della colpa, censurando il convincimento della Corte di merito circa la configurabilità della colpa grave e ravvisando, al più, la colpa lieve in capo all’imputato. Per il resto, il ricorso in esame richiama argomenti già esaminati a proposito del ricorso dell’imputato, cui per tali aspetti si rinvia.

5. Va dato atto che, a seguito della requisitoria scritta del Procuratore generale presso questa Corte (con la quale è stato chiesto il rigetto del ricorso), sia il S. che il responsabile civile hanno depositato memoria di replica con la quale hanno insistito per l’accoglimento del ricorso. Dal canto suo il difensore delle parti civili costituite ha rassegnato conclusioni scritte.

Considerato in diritto

1. A premessa delle considerazioni in diritto riguardanti i motivi di ricorso, può fin d’ora rilevarsi che essi possono raggrupparsi in base alle tematiche che ne costituiscono l’oggetto, nei termini seguenti:
un primo gruppo di motivi (primo motivo ricorso S., secondo motivo – prima parte – ricorso responsabile civile, primo motivo nuovo S.) riguarda la questione del rapporto di causalità tra la condotta omissiva ascritta all’imputato e l’evento letale occorso ai B., di cui i ricorrenti denunciano la carenza e, promiscuamente, l’omessa motivazione; – un secondo gruppo di motivi (secondo motivo ricorso S., secondo motivo – seconda parte – ricorso responsabile civile, secondo motivo nuovo S.) riguarda la questione della configurabilità della colpa e del grado della stessa, che i ricorrenti ritengono doversi escludere; – un terzo gruppo di motivi (essenzialmente, il terzo motivo del ricorso dell’imputato e un breve passaggio del secondo motivo del ricorso del responsabile civile) concerne invece la valutazione della Corte di merito circa le prospettazioni dei consulenti di parte, di cui le difese dell’imputato e del responsabile civile lamentano sostanzialmente l’omissione; – infine, un quarto gruppo di motivi (quarto motivo ricorso S., primo motivo ricorso responsabile civile) riguarda la corresponsione e – di fatto – la misura delle provvisionali liquidate in favore delle parti civili.

Peraltro si reputa opportuno, per meglio comprendere le ragioni della presente decisione, modificare in parte l’ordine in cui verranno esaminati i predetti gruppi di motivi, nel senso che il percorso argomentativo della presente sentenza si confronterà, nell’ordine, con il profilo della colpa e del relativo grado e, subito dopo, con la cruciale questione del nesso causale tra la condotta e l’evento, per poi affrontare gli ulteriori profili concernenti le valutazioni dei consulenti di parte che i ricorrenti ritengono pretermesse e le questioni riguardanti la provvisionale.

2. Sul piano della qualificabilità della condotta del Dott. S. come colposa, i motivi di ricorso contenenti le lagnanze all’uopo formulate devono ritenersi infondati.

In proposito, si ritiene opportuno muovere dalla nozione di “dolore toracico”, che è stata convenientemente esaminata tanto durante il giudizio di primo grado, quanto nel giudizio d’appello: di ciò la sentenza, impugnata dà conto alle pagine 5 – 6 e 31. La nozione di dolore toracico accolta nel giudizio di merito, tratta dai protocolli richiamati dai periti prof. T. e d.ssa Se., comprende “qualsiasi dolore che, anteriormente, si collochi tra la base del naso e l’ombelico e, posteriormente, tra la nuca e la 12^ vertebra e che non abbia causa traumatica o chiaramente identificabile che lo sottenda”. Perciò, come correttamente osservato tanto dal Tribunale quanto dalla Corte distrettuale, anche nel caso del B. (che presentava dolore agli arti superiori) poteva senz’altro parlarsi di “dolore toracico”.
È ben vero che non era presente, nel caso di specie, il tratto sintomatico maggiormente tipico delle patologie ischemiche cardiache (ossia la precordialgia); ma è pur vero – e la sentenza impugnata ne dà conto — che vi è una non trascurabile percentuale di casi in cui i sintomi di tali patologie (e, in specie, dell’infarto) possono essere atipici, o comunque non riconducibili univocamente a un corteo sintomatologico specifico e inequivocabile, al punto che in un significativo numero di casi addirittura non vi sono sintomi di alcun tipo.

2.1. Ciò che invece assumeva, nella specie, una portata suggestiva (e anche di questo offre contezza la lettura della sentenza impugnata) era la concomitanza fra il dolore alle braccia – che si è visto potersi annoverare tra i dolori toracici – e l’episodio di vomito occorso nella serata prima del ricovero, successivamente al quale peraltro il B. stava ancora male. È in forza della compresenza di siffatti elementi che, quanto meno a livello di ipotesi (come correttamente osservato nella sentenza impugnata), il Dott. S. poteva e doveva rappresentarsi l’eventualità di essere al cospetto di un soggetto con infarto in corso. Oltretutto la circostanza, riferita al medico dal B., di avere eseguito sforzi fisici durante la giornata lavorativa era essa stessa, a ben vedere, potenzialmente correlabile a possibili episodi ischemici da sforzo; mentre la valutazione dell’episodio emetico come spiegabile come conseguenza della consumazione di un panino kebab risulta frutto di una disamina parcellizzata delle emergenze del caso di specie, a fronte del fatto che la Corte di merito ben chiarisce come i sintomi agli arti e quelli dispeptici non dovessero essere valutati isolatamente, ma congiuntamente.

In relazione a tali aspetti, osserva la Corte distrettuale – come già il Tribunale -, vi erano tutte le condizioni che suggerivano, ed anzi imponevano al medico di turno di esperire accertamenti onde pervenire a una diagnosi differenziale, ossia di considerare l’ipotesi – tutt’altro che remota che i sintomi presentati dal B. potessero essere correlati a episodio di cardiopatia ischemica acuta e che si dovesse pertanto procedere ad accertamenti in tale direzione: accertamenti che i periti indicano nell’esecuzione di elettrocardiogramma e di dosaggio della troponina, e che più che verosimilmente (secondo il parere peritale) avrebbero nella specie dato conferma dell’evento.

La motivazione resa dai giudici dell’appello sul punto non è efficacemente contrastata dai ricorrenti.

2.2. Quanto al grado della colpa, è bensì corretta l’osservazione secondo cui, ratione temporis, trova applicazione al caso di specie la disciplina della L. n. 189 del 2012, ossia della c.d. Legge Balduzzi; ma, proprio in relazione a quanto disposto dall’art. 3, comma 1 citata Legge, è dirimente osservare che la limitazione della responsabilità penale alle ipotesi di colpa “non lieve” vale unicamente nel caso in cui l’esercente la professione sanitaria si attenga alle linee guida e alle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica.

Orbene, nel caso di che trattasi il richiamo dei periti T. e Se. alle linee guida tratte – anche, ma non esclusivamente – da documento ANMCO/SIMEU (a chiusura del punto 13 e nel successivo punto 14 della sentenza impugnata, pagg. 6 e 7) rende evidente che nel caso di specie il dolore ad ambedue le braccia, associato ad episodio emetico, avrebbe imposto un accertamento circa la possibile riferibilità del quadro clinico a patologia ischemica: ciò che il Dott. S. omise di fare. Di tale valutazione, effettuata dal Tribunale all’esito del giudizio di primo grado, la Corte di merito dà argomentata conferma in particolare alle pagine 32 e 33 della sentenza impugnata, aderendo alle osservazioni formulate dai periti avanti il Tribunale.

3. Più articolato e complesso è il discorso a proposito del nesso causale, riguardo al quale si premette comunque che le doglianze dei ricorrenti si appalesano egualmente infondate.

Occorre partire dalla considerazione che il B., dopo avere accusato sintomi dolorosi per tutta la serata del (omissis) (temporaneamente “coperti” dalla somministrazione di un’iniezione di antidolorifico da parte della madre, che permetteva al B. di andare a coricarsi), si svegliava alle 2 di notte, nuovamente in preda ai dolori, tanto che decideva di recarsi al Pronto soccorso, ove entrava alle 2,22. Dopo essere stato visitato dal Dott. S., veniva dimesso alle 3,15, tornava a casa e si coricava nuovamente; ii mattino dopo, alle 7,30, la madre ne constatava il decesso. L’orario esatto dell’exitus, che si colloca comunque nell’arco temporale successivo al rientro a casa del B. e, appunto, fino alle 7,30, non è stato accertato; sul piano congetturale, nel giudizio di merito, sulla scorta dei pareri peritali, è stato ipotizzato (pagg. 8 e 34 sentenza impugnata) che la morte fosse intervenuta a breve distanza temporale dal momento in cui il paziente tornò a casa, per l’insorgere di un’aritmia (dopo le 3,15).

L’esame autoptico di cui ha riferito il consulente tecnico del P.M. (vds. pag. 2 sentenza impugnata) consentiva di stabilire la causa del decesso del B., dovuta a un evento ischemico miocardico acuto conseguente a trombosi di un ramo coronarico, a sua volta secondario a fissurazione di placca ateromasica, in soggetto affetto da severa miocardiopatia ischemica cronica e aterosclerosi diffusa.

Su tale sostrato fattuale deve esaminarsi la concreta possibilità salvifica degli accertamenti diagnostici colposamente omessi dal Dott. S.

3.1. Nel giudizio di merito, sulla scorta delle valutazioni peritali, il Tribunale e la Corte d’appello hanno ritenuto che la condizione patologica acuta del B., in corso al momento della visita del Dott. S., sarebbe stata sicuramente rilevata in caso di esecuzione degli accertamenti elettivi in caso di sospetta crisi ischemica (ECG, troponina ecc.); che vi fossero rilevanti possibilità che il B. potesse essere salvato da una tempestiva e corretta diagnosi, atteso che presso l’ospedale di (omissis) operava un reparto di cardiologia con unità di terapia intensiva coronarica, che l’emodinamica era attiva 24 ore al giorno e che crisi cardiache di tipo ischemico del tipo di quella che trasse a morte il B. possono essere affrontate e risolte in modo pressoché istantaneo, per mezzo della defibrillazione elettrica (p. 34 sentenza impugnata).

Queste le peculiarità che caratterizzano il caso di specie.

3.2. Conviene a questo punto richiamare i principi fondamentali affermati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di rapporto di causalità nel reato colposo omissivo improprio.

Insegna la sentenza a Sezioni Unite Franzese che, nel reato colposo omissivo improprio, il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, sicché esso è configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l’azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l’interferenza di decorsi causali alternativi, l’evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva (Sez. U, Sentenza n. 30328 del 10/07/2002, Franzese, Rv. 222138); viceversa, sempre secondo la stessa sentenza, l’insufficienza, la contraddittorietà e l’incertezza del nesso causale tra condotta ed evento, e cioè il ragionevole dubbio, in base all’evidenza disponibile, sulla reale efficacia condizionante dell’omissione dell’agente rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell’evento lesivo comportano l’esito assolutorio del giudizio (Rv. 222139).

Il tema, su scala generale, è stato successivamente affrontato dalle Sezioni Unite nell’ambito di tutt’altra vicenda, ossia nel c.d. processo Thyssenkrupp: vi si è affermato – sempre nel caso di reato colposo omissivo improprio – che il rapporto di causalità deve bensì essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica (come già nella sentenza Franzese), ma tale giudizio deve a sua volta essere fondato, oltre che su un ragionamento di deduzione logica basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo elaborato sull’analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarità del caso concreto (Sez. U, Sentenza n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, Rv. 261103).

Venendo a un caso per certi versi analogo a quello in esame (ossia quello di un sanitario del pronto soccorso di cui è stato rigettato il ricorso avverso la conferma della condanna per il decesso di un paziente, al quale non era stato diagnosticato un infarto acuto del miocardio per cui era stato omesso il trasferimento presso un’unità coronarica per l’esecuzione di un intervento chirurgico che avrebbe avuto un’elevata probabilità risolutiva), la Corte ha affermato che è configurabile la sussistenza del nesso di causalità tra condotta ed evento, qualora esso sia stato accertato con giudizio controfattuale che, sebbene non fondato su una legge scientifica di spiegazione di natura universale o meramente statistica – per l’assenza di una rilevazione di frequenza dei casi esaminati – ma su generalizzate massime di esperienza e del senso comune, sia stato comunque ritenuto attendibile secondo criteri di elevata credibilità razionale, in quanto fondato sulla verifica, anche empirica, ma scientificamente condotta, di tutti gli elementi di giudizio disponibili, criticamente esaminati (Sez. 4, Sentenza n. 29889 del 05/04/2013, De Florentis, Rv. 257073).

Più di recente, sempre in un caso analogo e muovendo da analoghi principi (Sez. 4, Sentenza n. 33230 del 18/11/2020, Campo c. D’Agostino, Rv. 280074), la Corte è pervenuta a una decisione opposta: è stato bensì ribadito ii principio secondo il quale il meccanismo controfattuale, necessario per stabilire che, secondo un giudizio di alta probabilità logica, l’azione doverosa omessa avrebbe impedito l’evento, si deve fondare non solo su affidabili informazioni scientifiche, ma anche sulle contingenze significative del caso concreto; ma nella fattispecie, relativa al decesso di un paziente per arresto cardiaco, la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza con la quale il giudice aveva assolto l’imputato valutando che la mancata e tempestiva diagnosi, attraverso la sottoposizione al tracciato elettrocardiografico e l’effettuazione del dosaggio degli enzimi cardiaci, della patologia cardiaca di cui soffriva l’uomo, non avrebbe evitato l’evento mortale, poiché in quel caso, tenuto conto del momento del suo arrivo al pronto soccorso, del tempo necessario per eseguire gli esami strumentali e diagnostici, nonché della distanza chilometrica con il più vicino centro sanitario attrezzato, l’intervento coronarico percutaneo necessario ad evitare l’insorgenza dell’aritmia fatale avrebbe comunque avuto luogo in epoca significativamente successiva a quella richiesta per avere un effetto salvifico.
3.3. Calando i richiamati principi nella vicenda che ne occupa, la sentenza impugnata evidenzia come nello stesso presidio ospedaliero, ove il Dott. S. svolgeva il suo turno di pronto soccorso al momento dell’arrivo del paziente B., fosse attivo un reparto di cardiologia con unità di terapia intensiva coronarica, in grado di praticare tempestivamente la defibrillazione, con esiti prevedibilmente istantanei e favorevoli al paziente: è ben chiara e affatto conducente sul piano razionale la conclusione della Corte distrettuale nell’affermare che, mentre il B., tornato a casa e coricatosi, non era monitorato quando sopravvenne l’aritmia mortale, qualora invece egli fosse rimasto nello stesso ospedale e sottoposto a monitoraggio (come sarebbe certamente avvenuto nel caso fossero stati eseguiti gli accertamenti dovuti e colposamente omessi dall’odierno ricorrente), l’aritmia sarebbe stata interrotta con effetto immediato con applicazione della defibrillazione elettrica, e con esito salvifico.

Perciò, proprio attraverso la caratterizzazione del caso concreto e la valutazione correlata ad esso del grado di probabilità logica, va disatteso quanto osservato dai ricorrenti a proposito della supposta lacunosità della risposta argomentativa della Corte di merito alle lagnanze in punto di nesso causale tra condotta omissiva ed evento letale: un esame complessivo e contestuale di varie parti della sentenza (non solo delle pagine 33 e 34, in cui la Corte distrettuale non fa che trarre le somme dagli elementi emersi nelle precedenti fasi del giudizio di merito) rende evidente come, pur in mancanza di elementi certi e precisi in ordine all’orario esatto dell’exitus, la caratterizzazione della vicenda sulla base delle ricostruite peculiarità della situazione concreta induce a ritenere che, ove i necessari esami diagnostici fossero stati eseguiti dal Dott. S. nella prospettiva di una diagnosi differenziale, l’episodio infartuale acuto in corso sul B. sarebbe stato immediatamente accertato, il paziente sarebbe stato immediatamente avviato all’unità di terapia intensiva coronarica, ove gli sarebbe stata praticata la defibrillazione e, con elevato grado di probabilità logica, il paziente stesso si sarebbe salvato.

4. Restano da esaminare le ulteriori questioni.

4.1. Quanto all’asserto dell’omessa valutazione, da parte della Corte di merito, delle considerazioni svolte dai consulenti di parte (e segnatamente della difesa), esso è manifestamente infondato, oltreché proposto in termini non consentiti in questa sede: l’asserto de quo risulta disatteso da una lettura attenta della sentenza, essendovi invece in alcuni significativi passaggi di essa un accurato esame critico del parere espresso dai consulenti D.B. e A. , ad esempio a proposito del rilievo dagli stessi attribuito alla modesta sintomatologia presentata dal B. all’atto della dimissione (che la Corte ritiene, di contro, essere frutto della somministrazione di farmaci ad effetto antalgico: v. pag. 30); ma più in generale le confutazioni difensive alle valutazioni scientifiche peritali, evidentemente indotte dalle osservazioni dei consulenti di parte sia sugli elementi diagnostici, sia sulla natura colposa del comportamento omissivo dell’imputato, sia sulla rilevanza causale di tale comportamento, sono disattese dalla Corte di merito nel corso dell’intero percorso argomentativo della sentenza con osservazioni che risultano del tutto congrue, logiche e pertinenti, nonché aderenti alle peculiarità del caso di specie. Si rammenta che, in tema di valutazione della prova, atteso il principio della libertà di convincimento del giudice e della insussistenza di un regime di prova legale, il presupposto della decisione è costituito dalla motivazione che la giustifica. Ne consegue che il giudice può scegliere, tra le varie tesi prospettate dai periti e dai consulenti di parte, quella che maggiormente ritiene condivisibile, purché illustri le ragioni della scelta operata (anche per rapporto alle altre prospettazioni che ha ritenuto di disattendere) in modo accurato attraverso un percorso logico congruo che il giudice di legittimità non può sindacare nel merito (Sez. 4, Sentenza n. 46359 del 24/10/2007, Antignani, Rv. 239021; in senso conforme vds. Sez. 1, Sentenza n. 46432 del 19/04/2017, Fierro e altri, Rv. 271924).

4.2. Infine, quanto alle questioni attinenti alla spettanza e alla misura della provvisionale, i relativi motivi di ricorso non sono consentiti in questa sede e sono pertanto inammissibili: si rammenta che non è impugnabile con ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale, trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata, per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinata ad essere travolta dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento (giurisprudenza costante: per tutte vds. la recente Sez. 2, Sentenza n. 44859 del 17/10/2019, Tuccio, Rv. 277773; nonché Sez. 3, Sentenza n. 18663 del 27/01/2015, D.G., Rv. 263486).

5. Al rigetto dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, in solido, alla rifusione delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità dalle costituite parti civili B.E., B.G., B.R., P.N., B.O. e B.S.: spese liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché li condanna, in solido, alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili, che liquida in complessivi Euro 6.000,00, oltre accessori di legge.

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