Ben otto denunce presentate da persone offese per reati configuranti truffa. L’autore del reato si rivolgeva a soggetti ultrasessantacinquenni, approfittandosi della loro condizione di minorata difesa. In particolare, il truffatore, individuata la vittima, ne carpiva la fiducia offrendogli in vendita dei CD che affermava essergli stati commissionati da prossimi congiunti delle persone offese, con le quali talvolta fingeva di essere in contemporaneo contatto telefonico; così facendo, l’uomo otteneva il pagamento richiesto e si allontanava velocemente a bordo dell’auto con la quale era arrivato.

Tratto caratteristico della condotta delle vittime nel rapporto temporaneo con l’agente erano l’arrendevolezza e la sprovvedutezza, ritenute comuni alle persone anziane.

Nel caso specifico i giudici di merito hanno ritenuto configurata la circostanza aggravante della minorata difesa, come interpretata dalle Sezioni Unite 40275 del 2021.

In tal senso si è chiarito che, ai fini dell’integrazione della circostanza aggravante della c.d. minorata difesa, l’interprete deve rifuggire dalla prospettiva anche implicita della valorizzazione di presunzioni assolute; sussiste l’aggravante quando il reato sia commesso in tempo di notte (e ai danni di persone di età avanzata); deve però essere verificata l’effettiva incidenza sulle possibilità di difesa nel caso concreto. Si è affermato dunque che le circostanze di tempo, di luogo o di persona, di cui l’agente abbia profittato in modo tale da ostacolare la difesa della vittima, devono essere accertate alla stregua di concreti e concludenti elementi di fatto atti a dimostrare la particolare situazione di vulnerabilità –

oggetto di approfittamento – in cui versava il soggetto passivo; in altri termini è necessaria, ma non sufficiente, l’idoneità astratta delle predette condizioni a favorire la commissione del reato. L’età avanzata della vittima, pertanto, configura la circostanza aggravante della minorata difesa, sempre che sia raggiunta la prova che la pubblica o privata difesa ne siano rimaste in concreto ostacolate e che non ricorrano circostanze ulteriori, di natura diversa, idonee a neutralizzare il predetto effetto.

Avv. Annalisa Gasparre – foro di Pavia – Specialista in Diritto Penale

Cass. pen., sez. IV, ud. 18 maggio 2022 (dep. 7 giugno 2022), n. 21865 – Presidente Di Salvo – Relatore Cappello

Ritenuto in fatto

1. La Corte d’appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Modena, con la quale B.P. era stato condannato per numerose truffe aggravate dalla età delle persone offese e per un furto pluriaggravato dalla età della persona offesa e dalla destrezza, ha rideterminato la pena e confermato nel resto.

2. La difesa dell’imputato ha proposto ricorso, formulando due motivi.

Con il primo, ha dedotto vizio di manifesta illogicità della motivazione quanto alla mancata pronuncia di non doversi procedere per i capi 1), 2), 3), 6), 7), (8) e 9) della imputazione per intervenuta remissione della querela, una volta esclusa, come dovuto, secondo la prospettazione difensiva, l’aggravante di cui all’art. 640 c.p., comma 2, n. 2-bis e art. 61 c.p., n. 5, non avendo la Corte di merito preso in esame le singole fattispecie, a fronte di un gravame, con il quale si era evidenziato il comportamento delle vittime, successivo all’incontro, e la descrizione dei fatti dalle stesse fornita.

Con il secondo, ha dedotto analogo vizio quanto al diniego delle generiche, a fronte di un gravame, con il quale si era posto in evidenza il comportamento serbato dall’imputato successivamente alla commissione dei fatti e nel corso del processo, avendo egli risarcito il danno, elemento già valutato dai giudici territoriali ai fini del riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6.

3. Il Procuratore generale, in persona del sostituto (omissis), ha rassegnato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Il procedimento prende avvio da otto denunce-querele, presentate dalle diverse persone offese indicate nella imputazione, relativamente ad altrettante truffe, poste in essere nei confronti di soggetti ultrasessantacinquenni, con modalità tali da essersi l’autore dei reati avvantaggiato di una condizione di minorata difesa delle vittime. Dalle querele era stato ricostruito un identico modus operandi: il truffatore, individuata la vittima, ne carpiva la fiducia offrendogli in vendita dei CD che affermava essergli stati commissionati da prossimi congiunti delle persone offese, con le quali talvolta fingeva di essere in contemporaneo contatto telefonico; così facendo, l’uomo otteneva il pagamento richiesto e si allontanava velocemente a bordo dell’auto con la quale era arrivato. La Corte d’appello ha richiamato il contenuto delle diverse denunce, in uno con gli atti d’indagine posti in essere, tra cui la raccolta delle immagini di una telecamera presente sul taxi, relativo ai reati sub sub 6) e 7), ai danni di L.M., persona offesa che, nell’occorso, si era trovata, per l’appunto, in attesa di un taxi. All’interno del veicolo identificato (lo stesso segnalato, peraltro, da diversa persona offesa, quella, cioè, dell’episodio sub 8 della imputazione, P.D. ) venivano rinvenuti alcuni CD Rom; inoltre, il conducente dell’auto era risultato in possesso di un’utenza (formalmente intestata a cittadino straniero, ma nella disponibilità del B., essendo state la maggior parte delle chiamate rivolte alla utenza fissa della convivente) che, successivamente, era stato accertato avere agganciato, nel periodo d’interesse, diverse celle di […], […],[…] e […]; da un esame incrociato, era emerso che tali spostamenti erano compatibili con le zone nelle quali si erano trovate le persone offese al momento dei fatti.

Tre di queste, inoltre, avevano riconosciuto con certezza l’imputato in fotografia e, su uno dei CD sequestrati, erano state rilevate impronte digitali riconducibili al B. che, peraltro, in sede di interrogatorio di garanzia, aveva pure ammesso la propria responsabilità quanto ai reati ai danni delle persone offese L., P. e A., affermando di non ricordare di essere stato nei luoghi nei quali erano stati commessi i reati ai danni delle persone offese B. e F. La responsabilità del B., tuttavia, era stata ritenuta anche per questi due e per il reato ai danni di M.C. alla stregua dei risultati dei tabulati telefonici, del rinvenimento delle impronte sul CD Rom di identica fattura rispetto a quelli utilizzati per i reati e dell’utilizzo di un identico modus operandi.

Quanto alla valutazione dell’elemento circostanziale inerente alla condizione delle persone offese, oggetto di contestazione anche in ricorso, essa era stata operata non in base a un inammissibile ragionamento presuntivo, ma tenuto conto del comportamento delle vittime, indicativo di una loro scarsa lucidità: queste, colte di sorpresa di fronte a una messa in scena ritenuta dai giudici banale (in base alla quale l’imputato faceva credere loro di conoscere dei prossimi congiunti, ai quali doveva vendere i supporti digitali), erano state disposte a consegnare al richiedente il denaro, senza neppure effettuare una verifica con i propri congiunti, chiamati in causa dall’agente.

Confermata la affermazione della penale responsabilità, la Corte del gravame ha ritenuto che i tratti caratterizzanti la condotta di costoro nella interlocuzione con l’agente fossero state l’arrendevolezza e la sprovvedutezza, ritenute comuni alle persone anziane: le persone offese si erano comportate in modo incauto, credendo a uno sconosciuto al quale avevano versato somme di denaro per strada, omettendo addirittura di effettuare una verifica del tutto semplice, come quella di chiamare personalmente il congiunto e ciò a prescindere dal ruolo che le stesse potessero aver svolto nella società o nella vita lavorativa, avendo esse in quelle circostanze abbandonato ogni cautela o riserva di fronte alla evocazione del nome del proprio figlio/figlia.

Infine, la Corte territoriale ha ritenuto l’imputato non meritevole del riconoscimento delle generiche, in considerazione della serialità dell’azione, denotante professionalità a delinquere, difettando elementi positivi a giustificazione del beneficio.

3. I motivi sono manifestamente infondati.

La difesa ha inteso rassegnare al vaglio di legittimità questioni di puro merito, sulle quali consta un articolato, congruo, logico e non contraddittorio percorso argomentativo della Corte territoriale, da leggersi, stante la conformità delle due valutazioni, in uno con quello seguito dal giudice di primo grado. Ciò ha evidenti ricadute sulla natura del sindacato di legittimità, per quanto riguarda la verifica dell’adeguatezza e congruità del ragionamento giustificativo in ordine alle doglianze formulate in punto accertamento della responsabilità dell’imputato, ma anche sulla tipologia di vizio deducibile che non può in ogni caso consistere nella reiterazione della tesi difensiva esaminata dai giudici d’appello (sez. 3 n. 13926 del 1/12/2011, dep. 2012, Valerio, Rv. 252615), nè nella sollecitazione a ottenere da questa Corte una rivisitazione del giudizio di merito sostenuto da una congrua, logica e non contraddittoria motivazione. Sul punto, pare sufficiente ribadire i principi consolidati in materia di impugnazione per l’ipotesi di doppia sentenza conforme (cfr., tra le altre, sez. 3 n. 44418 del 16/7/2013, Argentieri, Rv, 257595; sez. 3 n. 13926 del 1/12/2011, dep. 2012, Valerio, Rv. 252615; sez. 2, n. 37295 del 12/6/2019, Rv. 277218) e ricordare che sono del tutto estranei al giudizio di legittimità la valutazione e l’apprezzamento del significato degli elementi probatori che attengono interamente al merito, con la conseguente inammissibilità di censure che siano sostanzialmente intese a sollecitare una rivalutazione del risultato probatorio, secondo diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati come maggiormente plausibili o dotati di migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr. sez. 6 n. 47204 del 7/10/2015, Rv. 265482; sez. 6 n. 25255 del 14/2/2012, Rv. 253099).

Nella specie, la difesa ha riproposto il contenuto del gravame esaminato dai giudici d’appello, senza tener conto della ricostruzione contenuta nella sentenza di primo grado, rispetto alla quale non è dato cogliere nelle doglianze difensive una effettiva critica, ma unicamente la contestazione, in chiave dialettica, delle rassegnate conclusioni (sul punto, sez. 2 n. 36406 del 27/6/2012, Rv. 253893; sez. 6 n. 13449 del 12/2/2014, Rv. 259456).

4. Peraltro, la motivazione è del tutto coerente con le indicazioni provenienti da questa Corte di legittimità, anche con riferimento all’elemento circostanziale contestato.

Sul punto, va ricordato che, in tema di minorata difesa, la circostanza aggravante di aver approfittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona tali da ostacolare la pubblica o privata difesa, a seguito della modifica normativa introdotta dalla L. n. 94 del 2009, deve essere oggi specificamente valutata anche in riferimento all’età senile e alla debolezza fisica della persona offesa, avendo voluto il legislatore assegnare rilevanza a una serie di situazioni che denotano nel soggetto passivo una particolare vulnerabilità della quale l’agente trae consapevolmente vantaggio (sez. 2, n. 8998 del 18/11/2014, dep. 2015, Genovese, RV. 262564; n. 13933 del 7/1/2015, Nanni, RV. 263293, in cui si è precisato che le circostanze di persona che, ai sensi dell’art. 61 n. 5, c.p., aggravano il reato quando l’agente ne approfitti possono consistere in uno stato di debolezza fisica o psichica in cui la vittima del reato si trovi per qualsiasi motivo; ne consegue che esse devono essere conosciute dall’agente e tali da ostacolare, in relazione alla situazione fattuale concretamente esistente, la reazione dell’Autorità pubblica o delle persone offese, agevolando la commissione del reato; sez. 5, n. 38347 del 13/7/2011, Cavò, Rv. 250948). Peraltro, per la sussistenza di detto elemento circostanziale, non è neppure richiesto che le circostanze di tempo, di luogo o di persona abbiano impedito o reso impossibile la difesa privata, essendo sufficiente che la stessa sia stata anche solo ostacolata (cfr. sez. 1, n. 50699 del 18/5/2017, Rv. 271592).

Il tema, tuttavia, è stato di recente esaminato dal Supremo Collegio di questa Corte, investito della soluzione di un contrasto – sempre inerente alla circostanza aggravante della minorata difesa – concettualmente analogo a quello in esame (e cioè “se la commissione del fatto in tempo di notte configuri, di per sé solamente, la circostanza aggravante della minorata difesa di cui all’art. 61 c.p., comma 1, n. 5″). In quella sede, il Supremo Collegio ha precisato, in termini generali, che ai fini dell’integrazione della circostanza aggravante della c.d. “minorata difesa”, l’interprete deve rifuggire dalla prospettiva anche implicita della valorizzazione di presunzioni assolute e ha riconosciuto l’astratta idoneità della commissione del reato in tempo di notte (e ai danni di persone di età avanzata) ad integrare tale circostanza aggravante, ritenendo però necessario verificarne l’effettiva incidenza sulle possibilità di difesa nel caso concreto e affermando il principio per il quale le circostanze di tempo, di luogo o di persona, di cui l’agente abbia profittato in modo tale da ostacolare la difesa della vittima, devono essere accertate alla stregua di concreti e concludenti elementi di fatto atti a dimostrare la particolare situazione di vulnerabilità – oggetto di profittamento – in cui versava il soggetto passivo, essendo necessaria, ma non sufficiente, l’idoneità astratta delle predette condizioni a favorire la commissione del reato; l’età avanzata della persona offesa, pertanto, può configurare la circostanza aggravante in esame, sempre che sia raggiunta la prova che la pubblica o privata difesa ne siano rimaste in concreto ostacolate e che non ricorrano circostanze ulteriori, di natura diversa, idonee a neutralizzare il predetto effetto” (Sez. U, n. 40275 del 15/7/2021, Cardellini, Rv. 282095, anche in motivazione).

5. La Corte d’appello, evidentemente edotta di tali principi, ha formulato un ragionamento con essi coerente, rifuggendo da soluzioni di tipo presuntivo e affermando che la condotta stessa delle vittime ne aveva denunciato la particolare vulnerabilità, fatta oggetto di consapevole approfittamento da parte dell’agente, la cui azione criminosa, dunque, è stata agevolata proprio da quella accertata condizione.

Anche il diniego delle generiche è sostenuto da un ragionamento esplicativo del tutto congruo e non contraddittorio, rispetto al quale la difesa ha articolato un dissenso che non può essere introdotto in sede di legittimità.

6. Alla in ammissibilità segue la condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali e della somma in euro tremila in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero (Corte cost n 186 del 2000).

P.Q.M.

Dichiarare ammissibile il ricorso e condanna l’imputato al pagamento delle spese processuali della somma di euro tremila in favore della cassa ammende.

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