La donna è stata accusata del reato di incitamento e provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici e religiosi, per alcuni scritti sul suo profilo social, di commento di una notizia giornalistica.
Per configurare il reato di cui all’art. 604 bis c.p. non è sufficiente che i messaggi veicolati abbiano un oggettivo contenuto discriminatorio e di odio razziale, ma è necessario anche che il loro contenuto costituisca una reale istigazione di terzi alla violenza per i suddetti motivi.
Alcuni specifici messaggi erano caratterizzati da uno specifico riferimento alla violenza da realizzare e collegati a fatti di cronaca, divulgati tramite la piattaforma social: i giudici evidenziano che le forme verbali erano esortative, impersonali o comunque plurali, tali, dunque, da istigare alla violenza.
La nozione di istigazione fa riferimento ad una manifestazione di pensiero volta a convincere l’ascoltatore e a indurlo ad un’azione.
I messaggi addebitati avevano il carattere di istigazione alla violenza per motivi razziali, etnici o religiosi; il contenuto degli stessi esprimeva un esplicito riferimento alla necessità di compiere atti di violenza motivata dalla religione di coloro che dovrebbero essere vittime; si trattava inoltre di esternazioni pubbliche e profferite da un soggetto autorevole (in qualità del suo ruolo di insegnante).
I messaggi, pertanto, secondo i giudici, non costituivano innocue manifestazioni di pensiero tali da esternare una posizione culturale, ma integravano l’istigazione alla violenza perché dirette a persuadere e muovere all’azione l’ascoltatore.
Avv. Annalisa Gasparre – Specialista in Diritto penale – foro di Pavia
Cass. pen., sez. II, ud. 3 novembre 2022 (dep. 7 marzo 2023), n. 9656 – Presidente Casa – Relatore Bianchi
1. Nei confronti di P.F. è ascritto il delitto continuato di incitamento e provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici e religiosi in relazione a scritti pubblicati sul suo profilo […] nei mesi di (omissis).
Con sentenza pronunciata in data 12 luglio 2021 la Corte di appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha assolto l’imputata da alcuni fatti perché il fatto non sussiste ed ha rideterminato la pena in mesi sette di reclusione, con conferma nel resto.
In particolare, la condanna è stata pronunciata in relazione ai seguenti messaggi diffusi dall’imputata tramite il suo profilo sulla piattaforma social […]:
il (omissis): “(omissis)”:
il (omissis): “(omissis)”;
il (omissis): “(omissis)”, a commento di una notizia giornalistica relativa alla morte di un cittadino musulmano picchiato da un condomino dallo stesso aggredito.
2. Il difensore dell’imputata ha proposto ricorso per cassazione, chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata.
Con il primo motivo viene denunciata la violazione della norma incriminatrice in quanto viene configurata come istigazione una manifestazione di pensiero non orientata a determinare azioni di violenza, diversamente dalla nozione di istigazione fatta propria dall’art. 604-bis c.p., e viene ritenuto il concreto pericolo di atti discriminatori o violenti come condizione obiettiva di punibilità.
Inoltre, era stata documentata l’assenza di idoneità all’istigazione in quanto l’imputata era stata denunciata proprio dagli studenti; il collegamento dei commenti con notizie di cronaca non li rendevano maggiormente visibili, in quanto si trattava di post di un profilo […] che era necessario appositamente consultare.
Con il secondo motivo viene denunciata la violazione dell’art. 604-bis c.p., in quanto la condotta di istigazione viene ritenuta sussistente nella mera idoneità ed univocità della condotta, laddove, invece, l’istigazione ha rilievo penale solo in quanto condotta di partecipazione nel reato.
Con il terzo motivo viene denunciato il difetto di motivazione per contraddittorietà, essendo stata pronunciata assoluzione per commenti aventi il medesimo contenuto di altri, ritenuti penalmente rilevanti.
Con il quarto motivo viene denunciata la violazione dell’art. 81 c.p., essendo stato ritenuto il concorso materiale di reati a fronte di imputazione che riguarda fattispecie eventualmente abituale.
Nella specie le esternazioni dell’imputata erano unificate dall’obiettivo di esse, individuabile nei soggetti extra comunitari ovvero aderenti alla religione islamica.
3. Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso.
Considerato in diritto
Il ricorso propone motivi infondati e va, perciò, respinto.
1. Innanzitutto, va precisato che l’originaria norma incriminatrice (L. n. 654/1975, art. 3) è ora trasfusa nell’art. 604-bis c.p., D.Lgs. n. 1 marzo 2018, n. 21.
In particolare, la fattispecie ascritta è quella della istigazione a commettere atti di violenza e/o della commissione di atti di provocazione per motivi razziali, etnici e religiosi, fattispecie descritta dalla lettera b del menzionato art. 3 (” b) chi incita in qualsiasi modo alla discriminazione, o incita a commettere o commette atti di violenza o di provocazione alla violenza, nei confronti di persone perché appartenenti ad un gruppo nazionale, etnico o razziale”) e, ora, dalla lettera b del nuovo art. 604-bis c.p. (“b) chi in qualsiasi modo istiga a commettere o commette atti di violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”).
2. I primi tre motivi di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente, denunciano violazione di legge, per aver i giudici ritenuto sussistente l’elemento oggettivo del reato a fronte di condotta che era limitata all’esternazione di commenti e non alla formulazione di un incitamento/istigazione/mandato al compimento di atti di violenza, e contraddittorietà della motivazione, in quanto era stata ritenuta l’insussistenza del fatto in relazione a comunicazioni aventi l’identico contenuto di quelle in relazioni alle quali è stata pronunciata condanna.
2.1. Il ricorso ripropone la censura già dedotta con l’atto di appello, laddove si è sostenuto che i messaggi veicolati dall’imputata avevano un “oggettivo contenuto discriminatorio e di odio razziale”, ma non realizzavano, per il loro contenuto, una reale istigazione di terzi alla violenza per motivi razziali.
In particolare, la difesa aveva evidenziato che l’attitudine alla diffusione del messaggio, desumibile dal mezzo di esternazione della manifestazione di pensiero, “può essere un elemento utile a dare conto della pericolosità”, ma non è da solo sufficiente, dovendosi valutare il contenuto dell’esternazione, il “livello medio della comunicazione nella quale esse si inseriscono”, la posizione meramente privata dell’imputata, il contesto nel quale esse si inserivano e, come criterio ex post, il tipo di reazioni che quelle parole avevano suscitato.
La sentenza di appello ha ritenuto che integrassero istigazione alla violenza per motivi razziali, etnici, religiosi solo alcuni tra i messaggi dell’imputata indicati nell’imputazione, e precisamente quelli già indicati, essendo caratterizzati da uno specifico riferimento, tramite “forme verbali esortative, impersonali o comunque plurali”, alla violenza da realizzare e collegati a notizie di cronaca, divulgati tramite la nota piattaforma […] da soggetto avente ruolo di docente di scuola superiore.
I motivi di ricorso primo e secondo sono infondati.
Il secondo giudice ha esattamente orientato la propria valutazione sulle esternazioni, inerenti a motivi razziali, etnici o religiosi, che avessero uno specifico riferimento ad atti di violenza, verificando se dette esternazioni avessero capacità di istigazione alla violenza.
Invero, la nozione di istigazione fa riferimento ad una manifestazione di pensiero volta a convincere l’ascoltatore e a indurlo ad un’azione.
La sentenza di appello ha motivato il giudizio, secondo il quale le tre esternazioni di cui trattasi avevano effettivamente il carattere di istigazione alla violenza per motivi razziali, etnici o religiosi, sul rilievo del contenuto di esse, che esprime un esplicito riferimento alla necessità di compiere atti di violenza motivata dalla religione di coloro che dovrebbero essere vittime, della pubblicità dell’esternazione, e dell’autorevolezza, in ragione del ruolo di insegnante, di colui che invia il messaggio.
Risulta, dunque, esattamente posto il confine tra le mere manifestazioni di pensiero che, vuoi per il contesto vuoi per il contenuto, si limitano a esternare una posizione culturale, per quanto non condivisa dal comune sentire, e l’istigazione alla violenza riscontrabile in quelle manifestazioni di pensiero dirette a persuadere e muovere all’azione l’ascoltatore.
2.2. Con riguardo al profilo motivazionale, il terzo motiva evidenzia la ‘contraddittorietà delle valutazioni compiute dalla Corte di appello, che aveva ritenuto l’insussistenza del fatto in relazione a diversi messaggi che pure avevano un esplicito riferimento alla violenza.
Il motivo è generico, in quanto evidenzia l’infondatezza della pronuncia assolutoria con riguardo a due messaggi, ma non la manifesta illogicità della motivazione del giudizio di colpevolezza che è stato formulato.
3. Il quarto motivo denuncia violazione di legge, in relazione al riconoscimento del concorso materiale di reati, uniti nel vincolo della continuazione, laddove si trattava di fattispecie di reato abituale.
Il motivo non è consentito.
Trattasi, infatti, di denuncia di violazione di legge che non era stata proposta con l’atto di appello, e dunque il relativo motivo di ricorso non è ammissibile, ai sensi dell’art. 606, comma 3, c.p.p..
4. Va, dunque, respinto il ricorso, con conseguente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.
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