Un uomo è stato condannato per maltrattamenti in famiglia ai danni della ex convivente.

Il procedimento ha fatto emergere a suo carico ripetuti comportamenti violenti, minacciosi ed ingiuriosi contro la ex convivente.

Secondo i giudici tali condotte erano connotate da un unico denominatore, ovvero l’incapacità di autocontrollo dell’imputato ogni qual volta si trovava a confrontarsi direttamente con la convivente.

Avv. Annalisa Gasparre – Specialista in Diritto Penale

Cass. pen., sez VI, ud. 18 ottobre 2022 (dep. 2 dicembre 2022), n. 45865 – Presidente Fidelbo – Relatore Tripiccione 

Ritenuto in fatto

1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Bologna ha confermato la condanna di P.D. alla pena ritenuta di giustizia in relazione al reato di maltrattamenti ai danni della ex convivente M.R., aggravato ai sensi dell’art. 61, n. 11-quinquies c.p..

2. Propone ricorso per cassazione il difensore di P.D., avv. N.F., deducendo vizi cumulativi della motivazione in merito alla affermazione della responsabilità dell’imputato e, in particolare, l’omessa motivazione in merito alla invocata riqualificazione delle condotte ascritte nei reati di ingiuria e di minaccia, essendosi trattato di episodi sporadici inidonei ad integrare la fattispecie contestata.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è inammissibile in quanto fondato su un motivo aspefico, meramente reiterativo della medesima censura già dedotta in appello. La sentenza impugnata, infatti, con motivazione immune da vizi logici o giuridici, con la quale il ricorrente omette ogni confronto critico, ha ritenuto corretta la qualificazione giuridica della condotta tenuta dal ricorrente in considerazione delle specifiche dichiarazioni rese dalla persona offesa e dai testi escussi che hanno sostanzialmente confermato i fatti riportati nel capo di imputazione. Si sottolineano, in particolare, i ripetuti comportamenti violenti, minacciosi ed ingiuriosi, tutti connotati da un unico denominatore, ovvero l’incapacità di autocontrollo dell’imputato ogni qual volta si trovava a confrontarsi direttamente con la convivente.

2. All’inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila da versare in favore della Cassa delle Ammende, non potendosi ritenere che lo stesso abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. n. 186 del 2000). Il ricorrente va, altresì, condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Bologna con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, disponendo il pagamento in favore dello Stato (Sez. U., n. 5464 del 26/09/2019, dep. 2020, De Falco, Rv. 277760).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Bologna con separato decreto di pagamento ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002 artt. 82 e 83, disponendo il pagamento in favore dello Stato.

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