Un uomo è stato condannato per stalking. Ha proposto ricorso in cassazione perché i giudici di merito avevano ritenuto di applicare l’aumento di pena per la c.d. continuazione.

La Corte di cassazione però specifica che il reato di atti persecutori è necessariamente abituale, nel senso che richiede la reiterazione di condotte che non integrano una pluralità di reati avvinti dalla continuazione.

In concreto il delitto era stato commesso sia mediante l’invio di lettere dal carcere, ove l’imputato era ristretto in attesa di giudizio per altro reato sia mediante telefonate anonime effettuate dopo la sua liberazione.

Nel reato di atti persecutori, ricordano i giudici, l’evento deve essere il risultato della condotta persecutoria nel suo complesso e la reiterazione degli atti considerati tipici costituisce elemento unificante ed essenziale della fattispecie, facendo assumere a tali atti un’autonoma ed unitaria offensività, in quanto è proprio dalla loro reiterazione che deriva nella vittima un progressivo accumulo di disagio che degenera in uno stato di prostrazione psicologica in grado di manifestarsi in una delle forme descritte dalla norma incriminatrice.

In conclusione, può affermarsi che alla pluralità degli atti persecutori e alla diversità degli strumenti utilizzati per commetterli non corrisponde una pluralità di delitti.

La sentenza di condanna è stata annullata

Avv. Annalisa Gasparre – Specialista in Diritto Penale

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 2 aprile – 13 maggio 2019, n. 20536 – Presidente Zaza – Relatore Romano

Ritenuto in fatto

1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza del 20 dicembre 2013 del Tribunale di Roma che, all’esito del giudizio abbreviato, ha condannato R.H. per il delitto di atti persecutori, applicate le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata recidiva, alla pena di anno uno di reclusione così determinata: pena base anno uno e mesi quattro di reclusione, aumentata per la continuazione ad anno uno e mesi sei di reclusione e poi ridotta per la scelta del rito.

2. Ricorre per cassazione R.H., a mezzo del suo difensore, chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata ed affidandosi ad un unico motivo con il quale lamenta violazione degli artt. 81 e 612-bis c.p. e mancanza di motivazione in ordine alla censura in proposito mossa con l’atto di appello.

Nello specifico, egli deduce che nel capo di imputazione si affermava che il delitto di atti persecutori era connesso per continuazione ad altri reati per i quali pendevano diversi procedimenti penali, ma la condotta oggetto di imputazione era comunque unica, atteso che il delitto di cui all’art. 612-bis c.p. è un reato necessariamente abituale che richiede la reiterazione di condotte che non integrano una pluralità di reati avvinti dalla continuazione.

Il Tribunale aveva, invece, ritenuto che i vari atti persecutori che integravano l’unico delitto di cui all’art. 612-bis c.p. fossero più reati avvinti dal vincolo della continuazione ed aveva applicato il relativo aumento di pena.

Tale punto della decisione del Tribunale aveva costituito oggetto di specifico motivo di appello, che tuttavia non era stato affatto esaminato dalla Corte di appello di Roma, che si era limitata a definire congrua ed adeguata la pena.

Il ricorrente chiede, quindi, l’eliminazione dell’aumento di pena applicato per la continuazione.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è fondato.

2. Dal tenore del capo di imputazione emerge chiaramente che all’imputato è stato contestato un solo reato di atti persecutori che si asserisce essere connesso con altri delitti di cui all’art. 612-bis c.p. commessi in diversi periodi di tempo ai danni della medesima persona offesa e per i quali pendono altri procedimenti penali.

Nella motivazione della sentenza di primo grado si afferma che è evidente il vincolo della continuazione contestata nel capo di imputazione “in considerazione non solo del momento temporale, ma anche della diversità degli strumenti utilizzati per perseguitare la persona offesa”. Nell’imputazione si afferma che il delitto è stato commesso sia mediante l’invio di lettere dal carcere, ove l’imputato era ristretto in attesa di giudizio per altro reato, dal dicembre 2012 al febbraio 2013, sia mediante telefonate anonime effettuate dopo la sua liberazione, a partire dal marzo 2013.

Dal tenore della sentenza non si comprende se il Tribunale abbia inteso applicare la continuazione tra i vari reati di atti persecutori contestati al R. nei vari procedimenti penali a suo carico, ma tale ipotesi può escludersi. In primo luogo perché tale ipotesi non sarebbe legittima, atteso che è possibile nel giudizio di cognizione applicare la continuazione solo tra il reato da giudicare e i reati già giudicati per i quali è stata emessa sentenza già irrevocabile, mentre non è possibile applicare la continuazione tra più reati oggetto di diversi procedimenti in corso di svolgimento, a meno che di questi non venga disposta la riunione, se possibile. In secondo luogo perché nella motivazione e nel dispositivo neppure si indicano le sentenze che hanno accertato i reati oggetto di diverso procedimento per i quali è stata ritenuta la continuazione e le pene inflitte con dette sentenze.

Deve, quindi, concludersi che il Tribunale abbia ritenuto, nella condotta descritta nel capo di imputazione, sussistenti più reati di atti persecutori, ognuno caratterizzato dall’utilizzo di un diverso strumento per la sua commissione.

Deve allora osservarsi che nel delitto previsto dall’art. 612-bis c.p., che ha natura di reato abituale, l’evento deve essere il risultato della condotta persecutoria nel suo complesso e la reiterazione degli atti considerati tipici costituisce elemento unificante ed essenziale della fattispecie, facendo assumere a tali atti un’autonoma ed unitaria offensività, in quanto è proprio dalla loro reiterazione che deriva nella vittima un progressivo accumulo di disagio che infine degenera in uno stato di prostrazione psicologica in grado di manifestarsi in una delle forme descritte dalla norma incriminatrice (Sez. 5, n. 54920 del 08/06/2016 – dep. 2016, G, Rv. 26908101).

Ne consegue che alla pluralità degli atti persecutori e alla diversità degli strumenti utilizzati per commetterli non corrisponde una pluralità di delitti di cui all’art. 612-bis c.p. da unificare sotto il vincolo della continuazione.

Nel caso di specie l’aumento per la continuazione è stato applicato illegittimamente.

Peraltro il vizio è stato validamente denunciato con l’atto di appello, ma su di esso la Corte di appello di Roma ha del tutto omesso di pronunciarsi.

3. Concludendo, la sentenza deve essere annullata nella parte in cui applica l’aumento di pena per la continuazione. Non è necessario operare il rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Roma, potendo la pena essere così rideterminata, sulla base delle indicazioni contenute nella sentenza di primo grado, in mesi dieci e giorni venti di reclusione, operando sulla pena base di anno uno e mesi quattro di reclusione la riduzione di un terzo per la scelta del rito abbreviato.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio che ridetermina in mesi dieci e giorni venti di reclusione.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto disposto d’ufficio.

#

No responses yet

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *