Nell’ambito di un procedimento penale per atti persecutori, all’ex marito era stato imposto, quale misura cautelare, il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati con la persona offesa a distanza inferiore ai 500 metri.

Nondimeno l’uomo aveva preso in locazione un appartamento vicino all’abitazione della vittima, sostenendo, poi, di non essersi mai trasferito.

Per i giudici, invece, si tratta di violazione dell’ordinanza cautelare e, quindi, hanno disposto la sostituzione della misura con quella più grave degli gli arresti domiciliari.

Avv. Annalisa Gasparre – foro di Pavia – Specialista in Diritto Penale

Cass. pen., sez. VI, ud. 3 dicembre 2021 (dep. 7 febbraio 2022), n. 4208 – Presidente Di Stefano – Relatore Tripiccione

Ritenuto in fatto

1. Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di Catania ha rigettato l’appello proposto da S.G.A. avverso l’ordinanza di sostituzione della misura dell’allontanamento dalla casa familiare, con divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa a distanza inferiore ai 500 metri, con la misura degli arresti domiciliari. In particolare, il Tribunale ha considerato la violazione di tale prescrizione basandosi sulla denuncia sporta dalla moglie del ricorrente, V.V.C., da cui è emerso che questo ha preso in affitto un appartamento vicino alla sua abitazione (in Via (omissis)). La donna ha, inoltre, riferito di avere visto il marito entrare nel palazzo in questione e di avere constatato che sul campanello risultavano apposti il suo nome e cognome (circostanza riscontrata dai Carabinieri di A. C.).

2. Propone ricorso per cassazione il difensore di fiducia di S.G.A. articolando un unico motivo con il quale deduce i vizi di violazione di legge e di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza di una violazione del divieto di avvicinamento imposto con la misura cautelare poi sostituita. L’ordinanza impugnata ha omesso di valutare che il ricorrente, pur avendo concordato l’affitto dell’immobile nell’ottobre/novembre 2020, non si è mai trasferito in considerazione degli obblighi imposti con la misura cautelare. Ciò risulta dagli atti relativi all’esecuzione del provvedimento impugnato, atteso che il ricorrente non è stato rintracciato presso l’immobile di (omissis), ma presso il suo domicilio in via (omissis) .

Considerato in diritto

1. Il ricorso è inammissibile in quanto fondato su motivi integralmente versati in fatto, volti a sollecitare una rilettura degli elementi posti alla base della valutazione di gravità della violazione commessa, che, di per sé, si colloca al di fuori dell’orizzonte del sindacato di legittimità.

1.1 L’art. 276 c.p.p., – nel prevedere la sostituzione o il cumulo della misura cautelare già disposta con altra più grave, nel caso di trasgressione alle prescrizioni imposte – attribuisce al giudice un potere discrezionale che deve essere esercitato mediante la valutazione della gravità e delle circostanze della violazione al fine di verificare se la trasgressione abbia reso manifesta la sopravvenuta inadeguatezza della misura in atto a fronteggiare le esigenze cautelari (Sez. 5, n. 3175 del 08/11/2018, dep. 2019, Leonardi, Rv. 275260; Sez. 6, n. 58435 del 04/12/2018, D’Albenzio, Rv. 275040).

Tale giudizio sulla gravità della condotta trasgressiva è riservato al giudice del merito e, ove sorretto da adeguata, corretta e logica motivazione, non è sindacabile in sede di legittimità (Sez. 5, n. 36060 del 09/10/2020, Hajdari, Rv. 280036; Sez. 2, n. 3629 del 18/8/1994, Moccia, Rv. 201400).

1.2 Tornando al caso in esame, l’ordinanza impugnata ha ritenuto grave la violazione delle prescrizioni imposte al ricorrente – che, peraltro, non ha contestato di avere preso in affitto l’immobile situato ad una distanza inferiore a 500 metri da quello ove abita la moglie, nè di essersi ivi recato il (omissis) – e, in ragione di tale valutazione, ha disposto la sostituzione della misura con quella degli arresti domiciliari. Il Tribunale ha, inoltre, condivisibilmente reputato irrilevante la circostanza, su cui il ricorrente insiste anche in questa Sede, in merito all’omesso trasloco nell’abitazione di (omissis), ponendo logicamente l’accento sulla violazione commessa e sulla sua valenza sintomatica della volontà del S. di non rispettare i vincoli imposti con la misura applicata.

Tale percorso argomentativo, sebbene sintetico, risulta immune da vizi logici e giuridici e, dunque, insindacabile in sede di legittimità.

2. All’inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Inoltre, il ricorrente va condannato al pagamento della somma di Euro tremila da versare in favore della Cassa delle Ammende, non potendosi ritenere che lo stesso abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. n. 186 del 2000).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

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